È “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, e di “una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”, l’attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli.
La regola, sancita dall’articolo 262 del Codice civile, non solo è fonte di “squilibrio” e “disparità tra i genitori”,ma “sacrifica” anche il “diritto all’identità del minore”, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno.
La Corte costituzionale richiama le sue stesse pronunce che si sono susseguite, sin dal 1970, nell’ordinanza con cui spiega perché ha deciso di mettere sotto la propria lente di ingrandimento la legittimità costituzionale della automatica acquisizione da parte dei figli del cognome del padre.
E di andare così alla radice del problema, rispetto alla richiesta più limitata che le aveva fatto il tribunale di Bolzano: dichiarare incostituzionale la norma solo in quanto non consente, in caso di accordo tra i genitori, di trasmettere ai figli esclusivamente il cognome materno.