Abuso permessi legge 104, in questo caso si rischia il posto: la Cassazione spiega perché

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L’utilizzo improprio dei permessi legge 104 può portare al licenziamento in tronco. Una recente disputa decisa dalla Cassazione lo dimostra nuovamente

di Claudio Garau
Redazione Qui Finanza

Come è noto la legge 104 è tuttora testo di riferimento per ciò che attiene la tutela dei diritti, l’integrazione sociale e l’assistenza di una persona con disabilità acclarata. Tale normativa assicura sostegno sia alle persone con handicap sia ai loro familiari che, in una grande quantità di situazioni, hanno compiti di accudimento e assistenza.

Tra le agevolazioni connesse a questa legge del 1992 abbiamo i permessi 104, ossia benefici che permettono ai lavoratori disabili gravi o ai lavoratori con familiari in condizione di disabilità grave (caregiver), di assentarsi dal luogo di lavoro per tre giorni al mese, mantenendo comunque il diritto allo stipendio e restando coperti anche ai fini pensionistici da contribuzione figurativa.

Proprio su questo tema recentemente è intervenuta un’ordinanza della Cassazione che, di fatto, rappresenta un monito contro i rischi di licenziamento, insiti in quei comportamenti incompatibili con le finalità per cui si chiede, ed ottiene, il permesso legge 104. È licenziabile il lavoratore o la lavoratrice che, pur usufruendo del diritto all’assenza dal lavoro, non dà adeguata assistenza al familiare disabile nel periodo di tempo dell’astensione. Vediamo più da vicino la vicenda che ha portato all’ordinanza n. 11999 della Suprema Corte e la decisione di quest’ultima

Abuso permessi legge 104, il caso concreto

Il provvedimento del giudice di legittimità giunge al termine di un articolato iter in tribunale, scaturito dal licenziamento per giusta causa inflitto da una banca a un suo lavoratore subordinato, a cui era stato contestato l’abuso dei permessi in oggetto, ossia lo sfruttamento degli stessi per finalità estranee al perimetro per cui tali agevolazioni sono concesse.

All’epoca dei fatti l’istituto di credito aveva incaricato un’agenzia investigativa – attività consentita dalla legge – allo scopo di controllare che l’effettivo utilizzo dei giorni e delle ore di astensione dall’occupazione non fosse da ritenersi improprio e contrastante con il dettato della legge sull’assistenza ai disabili.

Al termine dell’attività di controllo, l’agenzia riferì che il lavoratore aveva sì trasferito la madre disabile presso la propria abitazione, ma di seguito si era assentato dalla stessa per svolgere attività non sempre collegate alla corretta fruizione del permesso suddetto. Per la banca la decisione inevitabile e consequenziale è stata quella del licenziamento in tronco o per giusta causa, fondato appunto sulla grave violazione di quella sorta di ‘patto di fiducia’ che deve sempre intercorrere tra l’assunto e il datore di lavoro –  pena l’interruzione immediata del rapporto.

Secondo le difese del lavoratore licenziato, la relazione dell’agenzia investigativa non sarebbe bastata a provare un uso improprio dei permessi e a dimostrare quindi la violazione della legge 104, in quanto gli investigatori non avrebbero considerato che le attività che lo avevano allontanato dal luogo di assistenza del familiare erano comunque collegate all’assistenza.

La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda del lavoratore licenziato, stabilendo che le ore rivolte ad incombenti differenti e non legati, in alcun modo, all’assistenza erano comunque di entità tale da giustificare gli addebiti contestati dal datore di lavoro. E ciò pure considerando che il tempo dedicato all’assistenza non deve essere rapportato all’intera giornata ma piuttosto al mero orario di lavoro (restando irrilevanti le ore serali e notturne).

La decisione della Cassazione

L’ordinanza n. 11999 della Corte ha rispecchiato un indirizzo radicato in numerose pronunce (tra cui Cassazione, 02/11/2023, n. 30462 e Cass. n. 17698/2016), ribadendo la correttezza del licenziamento per giusta causa, e dunque senza preavviso.

Infatti questo giudice ha rimarcato che:

  • il permesso ex art. 33 legge 104/92 va riconosciuto al lavoratore, espressamente per l’assistenza alla persona disabile, senza che il fruitore dell’agevolazione possa occupare il tempo dell’astensione dal lavoro per esigenze diverse;
  • deve ricorrere un nesso causale – anche ‘indiretto’ – tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, pertanto qualora il lavoratore in permesso 104 si assenti dall’abitazione, potrà legalmente farlo solo in modo funzionale alla cura della persona invalida;
  • in caso di violazione della finalità del permesso, si paleserà un uso improprio o un abuso del diritto e la grave violazione dei principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti dell’azienda o datore di lavoro che dell’ente assicurativo (Cassazione n. 19580 del 2019), con rilevanza anche sul piano disciplinare.

In sostanza, se da un lato l’assistenza che legittima il permesso legge 104 in favore del dipendente non può intendersi esclusiva, al punto da impedire a chi la dà di avvalersi degli spazi temporali opportuni per le proprie esigenze di vita, essa – si legge nell’ordinanza – dovrà comunque assicurare al familiare disabile grave:

un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione.

Essendo in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, la Corte di Cassazione ha confermato le conclusioni del giudice di merito e ha rigettato il ricorso del lavoratore licenziato per giusta causa.

Conclusioni

Questa vicenda costituisce un nuovo avvertimento sui rischi conseguenti all’utilizzo non congruo dei permessi legge 104. Oltre alla violazione della finalità di cui al testo del 1992, si palesa infatti la violazione degli obblighi contrattuali nel rapporto di lavoro subordinato.

Pertanto l’ordinanza della Cassazione n. 11999 del 2024, nel ribadire un orientamento consolidato, vuole ricordare a tutti i lavoratori dipendenti che è possibile rischiare il posto per abuso dei permessi legge 104. Ciò non significa compressione dei diritti dei lavoratori, ma conferma dei contestuali doveri di correttezza e buona fede: il dipendente che ottiene il permesso dovrà comportarsi responsabilmente e svolgere attività connesse all’accudimento del disabile. Se non lo farà – o se utilizzerà il tempo concesso per dedicarsi ad attività non primarie per i propri bisogni di vita – potrà subire la più grave sanzione disciplinare, esponendosi concretamente alla perdita del posto di lavoro.

 

 

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