Pensioni, dopo Quota 41 ibrida ecco il piano per la nuova riforma del 2024

Subito dopo il varo della manovra il governo convocherà il tavolo con le parti sociali per discutere dell’intervento strutturale con cui dal 2024 dovrà essere progressivamente superata la legge Fornero. Un piano grezzo di partenza è stato già abbozzato e ha come obiettivo finale l’uscita con Quota 41 in forma “secca”

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di Marco Rogari

Un solo anno con la soluzione ponte che consentirà l’avvio di Quota 41 in versione ibrida, vincolata cioè alla soglia anagrafica di 62 anni, a meno che il governo in extremis non decida di scendere a 61.

Subito dopo, dal 2024, dovrebbe essere avviata una riforma organica della previdenza per superare la legge Fornero.

È questa la rotta per le pensioni tracciata dall’esecutivo Meloni. Che ha già in mente un piano grezzo di partenza da sviluppare e definire nei dettagli nel corso di un confronto con le parti sociali in agenda a ruota dell’approvazione della manovra.

L’obiettivo è quello di arrivare a Quota 41 in forma “secca”, garantendo le uscite con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica entro la fine della legislatura, possibilmente tra il 2025 e il 2026. Nel frattempo verrebbero adottate quote flessibili partendo da un’età minima di 62-63 anni e sarebbe incentivato il ricorso alla previdenza integrativa con un alleggerimento dell’attuale tassazione. L’intervento strutturale verrebbe poi modellato per giungere a regime a una separazione della previdenza dall’assistenza e prevederebbe anche sconti contributivi per le lavoratrici madri, una nuova fase di pace contributiva e riscatti della laurea agevolati per estendere la “copertura previdenziale” dei giovani. Tra i nodi da sciogliere c’è anche quello della possibile modifica dell’attuale meccanismo che adegua i trattamenti all’aspettativa di vita.

Un solo anno di Quota 103 con 41 anni di versamenti

Come è ormai noto, con la fine a dicembre 2022 dell’esperienza della Quota 102 introdotta dall’esecutivo Draghi, il governo Meloni ha deciso di ricorrere per il solo 2023 a una soluzione ponte che consenta di evitare il ritorno alla legge Fornero in versione integrale. Il nuovo canale di uscita anticipata vedrà Quota 41 associata per 12 mesi a un requisito anagrafico, che dovrebbe essere fissato a 62 anni, a meno che in extremis l’esecutivo non decida di scendere a 61. La Quota 103 di fatto che si verrà creare, seppure in un nuovo formato, sarà accompagnata dal prolungamento sempre di un anno di Ape sociale e Opzione donna.

Dal 2024 il via alla riforma: il “tavolo” dopo la manovra

La tabella di marcia abbozzata dal governo prevede l’avvio dal 2024 di una riforma organica della previdenza per superare progressivamente la legge Fornero. L’intervento sarà definito all’insegna del dialogo sociale con sindacati, imprese e associazioni di categoria. Il tavolo è stato già annunciato dal governo e dovrebbe scattare dopo la presentazione della manovra economica.

Sindacati e imprese: basta Quote

I sindacati sono contrari a prolungare il sistema delle Quote “rigide”. Un sistema che anche per il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, va superato per puntare a una riforma organica della previdenza. Cgil, Cisl e Uil sono favorevoli all’introduzione di Quota 41 in forma “secca”, cara alla Lega, e, in alternativa, spingono anche per uscite, senza un ricalcolo contributivo integrale, già a partire dai 62 anni d’età.

Entro tre anni Quota 41 “secca”

Nella maggioranza di centrodestra soprattutto la Lega è in pressing per centrare entro il 2025-2026, e comunque prima della fine della legislatura, l’obiettivo di Quota 41 in forma “secca”(pensionamento con 41 di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica). Molto dipenderà dalle risorse disponibili nei prossimi anni. Anche perché di qui al 2025 è già prevista una crescita della spesa pensionistica di ben 58 miliardi sotto la spinta dell’inflazione che fa lievitare l’impatto sui conti pubblici dell’indicizzazione dei trattamenti pensionistici al “caro-vita”.

Dal 2024 uno o due anni di Quote elastiche prima della flessibilità in uscita

Oltre a Quota 41, dovrebbe essere previsto un nuovo meccanismo di uscite partendo da una soglia anagrafica minima di 62 ( o 63) anni. Due le ipotesi sul tavolo: una riduzione del trattamento tarata sul numero di anni di anticipo rispetto al requisito di vecchiaia o il ricalcolo contributivo dell’intero assegno con l’importo che si ridurrebbe maggiormente (anche oltre il 20%) uscendo appunto a 62 o 63 anni. In quest’ultimo caso si materializzerebbe la cosiddetta “Opzione uomo” sulla falsariga dell’attuale modello di “Opzione donna”. Ma per fare andare a regime questo nuovo meccanismo potrebbero essere necessari almeno uno o due anni. In questo arco di tempo potrebbe scattare una Quota flessibile con un mix elastico di contributi ed età anagrafica partendo sempre dai 62-63 anni.

I bonus contributivi per le lavoratrici madri

Per le donne potrebbe essere introdotto un nuovo dispositivo di bonus contributivi ispirato in qualche modo allo schema del quoziente famigliare, che il governo Meloni intende adottare a vasto raggio già a partire dalla prossima manovra. In particolare, le lavoratrici madri potrebbero contare su un anno di contributi in più per ogni figlio. E questa soluzione sarebbe in linea anche con le proposte formulate dal sindacato.

La “copertura” per i giovani a partire dal riscatto agevolato della laurea

Un altro degli obiettivi del governo è quello di garantire un’adeguata “copertura previdenziale” ai giovani, che nella maggiora parte dei casi presentano carriere discontinue. Quasi sicuramente il governo ricorrerà a misure per agevolare il riscatto della laurea. La Lega ha anche già proposto di avviare una nuova fase di pace contributiva (già sperimentata ai tempi dell’esecutivo “Conte 1”) per colmare i vuoti nel percorso dei versamenti. Tra gli interventi in programma c’è poi il rilancio della previdenza integrativa.

Tassazione più leggera sui fondi pensione

Con la riforma organica della previdenza il governo conta di alleggerire la tassazione sui fondi pensione. Il prelievo fiscale applicato attualmente sulla rendita delle forme integrative è del 15%, e scende al 9% solo in alcuni particolari casi. Nelle intenzioni dell’esecutivo l’asticella dovrebbe scendere di almeno il 2-2,5%. Sarà poi valutata con attenzione la richiesta dei sindacati di avviare una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr alla previdenza complementare.

Uscita anticipata ad hoc per i lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti

Per i soggetti impegnati in mansioni gravose e usuranti è già previsto un percorso leggermente abbreviato per accedere alla pensione rispetto a quello degli altri lavoratori. Il governo potrebbe optare per una revisione dell’attuale platea, ampliando il bacino, individuando canali d’uscita anticipata distinti per categoria.

Gli incentivi per rinviare la pensione

Dagli ultimi dati monitorati dall’Inps è emerso che nei prossimi 10 anni potrebbe accedere alla pensione circa un terzo dei dipendenti pubblici. Con la conseguenza di far salire il rischio di vuoti d’organico, che è già una realtà sul versante della sanità pubblica. Anche per questo motivo il governo potrebbe rispolverare dal 2024 l’idea, accantonata negli ultimi giorni anche per le perplessità dei tecnici del Mef sul suo reale impatto sui conti pubblici, di incentivi per favorire il rinvio dei pensionamento se non proprio a tappeto almeno per alcuni settori. L’ipotesi che è stata valutata nelle ultime settimane prima di essere scartata (almeno per il momento) poggiava su una decontribuzione. In altre parole, i contributi del 33% previsti per i lavoratori dipendenti sarebbe stata azzerata per tutti gli anni di rinvio del pensionamento e lo stesso lavoratore ogni mese avrebbe visto crescere lo stipendio con la quota di contribuzione (9,19%) a suo carico. Al momento dell’effettivo accesso della pensione l’importo dell’assegno previdenziale sarebbe rimasto quello maturato al momento del rinvio.

La separazione dell’assistenza dalla previdenza

Dall’ultima Nota di aggiornamento al Def presentata dal governo emerge che nel 2023 la spesa pensionistica salirà al 16,1% del Pil (+0,5% sul 2022) e nel 2024 lieviterà ulteriormente al 16,6%. Un andamento tutt’altro che tranquillizzante, dovuto anche alle ricadute della corsa dell’inflazione. Ma i sindacati sostengono da tempo che il rapporto spesa-Pil sarebbe in realtà più basso perché andrebbe depurato dal peso delle voci assistenziali. E anche il governo sembra seriamente intenzionate a valutare una separazione, nell’ottica dei conti pubblici (ma non solo), della previdenza dall’assistenza.

Freno all’adeguamento all’aspettativa di vita e stretta sulle pensioni d’oro

All’interno del nuovo cantiere previdenziale che si sta per aprire saranno sicuramente discusse due proposte alle quali tiene molto Fdi e che, non a caso, sono state citate in campagna elettorale dalla stessa Giorgia Meloni. La prima, che investe direttamente l’attuale assetto del sistema pensionistico, prevede lo stop all’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Il secondo possibile intervento è rappresentato dal ricalcolo, oltre un’elevata soglia, delle cosiddette “pensioni d’oro” che non corrispondono a contributi effettivamente versati.

 

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