Il periodo di comporto deve essere calcolato con precisione onde evitare un licenziamento per giusta causa.
Scopriamo come procedere
di Valentina Trogu
Per periodo di comporto si intende il numero massimo di giorni di assenza del lavoratore disabile dal posto di lavoro. Superando la soglia annuale si rischia il licenziamento per giusta causa. Ogni Contratto nazionale di categoria fissa, generalmente, tale limite che i dipendenti sono tenuti a conoscere. Il periodo di comporto vige sia per i lavoratori con disabilità che per gli altri dipendenti. Questioni sulla necessità di paletti meno stringenti per i primi rispetto ai secondi sono state affrontate più volte nel tempo.
Diversi contenziosi giudiziari si sono concentrati proprio su questa esigenza eppure le sentenze parlano chiaro. Il numero di assenze per restare all’interno del periodo di comporto è uguale per tutti perché non comporta alcun tipo di discriminazione.
Disabili e periodo di comporto, cosa occorre sapere
Come accennato, il periodo di comporto è il numero massimo di assenze dal posto di lavoro nell’arco di un anno. Ma cosa si intende per un anno? I dodici mesi che vanno da gennaio a dicembre e, dunque, l’anno di calendario oppure i 365 giorni a partire da qualsiasi data. Inoltre, tale periodo di comporto per i disabili così come per ogni altro lavoratore può essere calcolato a secco – con giorni di assenza consecutivi – o per sommatoria – con giorni di assenza sparsi durante l’anno.
La durata massima per gli operai è stabilita dal Contratto Nazionale e dunque è variabile. Per gli impiegati, invece, è uguale per tutti. Tre mesi all’anno se l’anzianità di servizio è inferiore a 10 mesi; sei mesi all’anno con anzianità di servizio superiore a 10 mesi.
Altri dettagli della normativa
Al superamento del periodo di comporto spetterà al datore di lavoro decidere se procedere con il licenziamento per giusta causa oppure concedere altro tempo per il ritorno al lavoro. Inoltre, ci sono casi in cui è possibile superare i giorni massimi di assenza senza rischiare il posto. Parliamo di un’eventuale malattia professionale o di un infortunio. Questi eventi sono imputabili al datore di lavoro e di conseguenza è accettata una ripresa più lunga. Condizione necessaria è che la responsabilità del datore venga accertata.
Naturalmente le persone con disabilità rischiano di doversi assentare dal posto di lavoro per periodi più lunghi del consentito. Da qui la nascita dei contenziosi e della richiesta di maggior flessibilità per i lavoratori disabili. Teoricamente l’intento è lodevole eppure secondo molti magistrati occorre discernere il concetto di malattia da quello di disabilità. Il primo rende impossibile al lavoratore svolgere la propria occupazione. Il secondo, invece, non lo esclude.
Su queste basi si poggiano le sentenze che vedono vincere il datore di lavoro con conseguente licenziamento del lavoratore disabile. Non c’è, secondo i magistrati, alcuna discriminazione nel negare un comporto maggiore.