La giurisprudenza si è trovata ancora una volta ad affrontare il tema del licenziamento di lavoratori invalidi.
Nello specifico, il tribunale di Vicenza si è espresso [1] in merito a una vicenda che tra origine dal licenziamento di una lavoratrice affetta da endometriosi, lasciata a casa dal datore di lavoro dopo aver superato il tetto massimo di giorni di malattia. Nel caso specifico, in base al dal Ccnl Agidae socio-assistenziale applicabile alla dipendente, infatti, il cosiddetto periodo di comporto nel triennio era di 365, sforato dalla lavoratrice anche a causa della sua malattia cronica.
Il caso approda in tribunale quando la dipendente decide di impugnare il licenziamento lamentandone la natura discriminatoria e chiedendo al giudice di dichiararne la nullità. L’accusa è quella di essere stata sottoposta a un ingiusto trattamento. Per la dipendente il datore di lavoro non ha adottato gli “accomodamenti ragionevoli” previsti per i lavoratori invalidi allo scopo di «garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri dipendenti».
Secondo la lavoratrice, il datore avrebbe dovuto escludere dal computo del periodo dei giorni di malattia quelli riconducibili alla patologia cronica di cui soffre e per la quale è stata dichiarata invalida.
Esaminato il caso, il tribunale decide di rigettare il ricorso avanzato dalla dipendente. Secondo i giudici, seppur esista un’effettiva maggiore tutela nei confronti dei dipendenti disabili che prevede differenti modalità di computo delle assenze per malattia proprio in virtù dello status di invalido, questa protezione non può tutelare chiunque dal licenziamento a prescindere dal proprio comportamento.
Sì, i dipendenti disabili corrono maggiori rischi di accumulare giorni di malattia – continua la sentenza -, ma ciò non toglie che possano ugualmente essere licenziati nel caso in cui non rispettino i limiti di tale tutela. Ed è proprio questo il caso: la dipendente, infatti, aveva trasmesso al datore di lavoro tutti i certificati medici relativi alle sue assenze per malattia, senza però verificare e porre attenzione a che venisse indicata la riconducibilità dell’assenza alla sua condizione di invalida. E non solo: la donna non aveva in nessun altro modo segnalato la correlazione tra le assenze e la sua patologia al datore di lavoro, non collaborando in alcun modo con quest’ultimo.
Va ricordato che dal 2012 [2] è possibile indicare nei certificati medici se l’assenza dal lavoro è connessa alla situazione di invalidità riconosciuta barrando agilmente una casella. Un’azione semplice ma comunque incompiuta dalla lavoratrice.
Come poteva sapere il datore di lavoro che le assenze della sua dipendente erano ricollegabili alla sua malattia, se lei non lo aveva specificato? Non poteva, e così ha sommato quei giorni di malattia agli altri.
Secondo il tribunale «l’inadempimento del lavoratore all’obbligo di cooperazione rende quindi inesigibile il preteso obbligo del datore di lavoro di espungere dal comporto le giornate di assenza correlate all’invalidità».
L’estrema sintesi del pronunciamento del giudice è la seguente: il lavoratore invalido che non si preoccupa di presentare la corretta documentazione non può pretendere di essere maggiormente tutelato rispetto agli altri.
[1] Trib. Vicenza sent. n. 181/2022.
[2] D.M. del 18.04.2012.
note
[1] Trib. Vicenza sent. n. 181/2022.
[2] D.M. del 18.04.2012.