Lo scivolo per la pensione degli statali: il piano di Draghi e Brunetta

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Il governo pensa a mandare prima in pensione i lavoratori pubblici: il piano è stato presentato dal ministro della Pubblica Amministrazione e ipotizza “un meccanismo volontario di incentivi all’esodo di persone vicine all’età pensionabile e con professionalità non adeguate a cogliere l’innovazione tecnologica o non più motivate a rimanere nel settore pubblico”

Uno scivolo per la pensione dei lavoratori statali e pubblici e della pubblica amministrazione: questa è una delle proposte contenute nel piano del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta mentre sono andati in ritiro 190mila occupati nella PA tra 2019 e 2020 e si prevede che ne usciranno altre 300mila nei prossimi tre o quattro anni.

Il Messaggero scrive oggi che il piano di Brunetta, da attuare anche con i fondi del PNRR e illustrato in audizione alle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Lavoro in Senato, prevede il ritorno delle assunzioni con concorsi veloci: ci sono 2800 posti per giovani nelle amministrazioni del Mezzogiorno previsti dalla legge di bilancio 2021 ma ricambio generazionale e nuovi profili di competenze andranno di pari passo: il ministro ipotizza “un meccanismo volontario di incentivi all’esodo di persone vicine all’età pensionabile e con professionalità non adeguate a cogliere l’innovazione tecnologica o non più motivate a rimanere nel settore pubblico”. Uno scivolo per la pensione dei lavoratori statali considerati non al passo con i tempi è quindi uno dei modi che il governo Draghi intende perseguire per migliorare l’efficienza della Pubblica Amministrazione. L’attuale media dei dipendenti pubblici è superiore ai 50 anni e quasi il 17% del totale ha più di sessanta anni. “Le cessazioni delle fasce con maggiori anzianità – si legge nella relazione – contribuiscono ad elevare la quota di laureati che tuttavia non supera il 40%. È urgente ripensare i meccanismi di reclutamento delle persone sia sul piano procedurale ed organizzativo che della selezione delle professionalità migliori e più idonee per le esigenze dell’amministrazione”.

Intanto, spiega La Stampa, questa mattina nella sala Verde di Palazzo Chigi Mario Draghi e i sindacati firmeranno il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”: più fondi, più assunzioni, migliori condizioni di lavoro in cambio di una macchina pubblica più efficiente. Il piano prevede un massiccio investimento in capitale umano nella pubblica amministrazione, assicurare la partecipazione attiva dei lavoratori all’innovazione del settore pubblico attraverso la digitalizzazione, avviare una nuova stagione di relazioni sindacali per completare i rinnovi contrattuali dell’ultimo triennio, e infine stabilire il diritto-dovere di ogni dipendente pubblico alla formazione.

Il patto promette di distribuire al più presto i 107 euro che i dipendenti attendono dal 2019, oltre ad una nuova «disciplina del lavoro agile che garantisca condizioni di lavoro trasparenti». Il punto tre permette «una rivisitazione degli ordinamenti professionali del personale», un modo criptico per dire (lo fa più esplicitamente Brunetta in audizione) scatti di carriera per merito e non più mera anzianità. Nelle schede presentate in audizione il ministro dice ad esempio che occorre «abbandonare i concorsi centralizzati e le graduatorie pluriennali e a scorrimento» introducendo più figure intermedie a contratto.

Pensioni, ipotesi Quota 92 e Quota 102

Nei giorni scorsi abbiamo parlato dell’ipotesi quota 92 e dell’ipotesi quota 102 con Quota 100 che si avvia verso il tramonto il 31 dicembre 2021: la pensione di vecchiaia in base alle norme attuali prevede il ritiro dal lavoro a 67 anni e un’anzianità contributiva minima di anni 20. La pensione anticipata senza il vincolo dell’età anagrafica ma con solo il requisito contributivo da rispettare è 42 anni e 10 mesi per i lavoratori e poco meno di un anno per le lavoratrici, ossia 41 anni e 10 mesi. Il 31 dicembre “scade” Quota 100 che consente di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi. Dal primo gennaio si torna alle regole di prima e quindi allo “scalone” di cinque anni di età: da 62 a 67 anni. Improbabile che Draghi proroghi quota 100. Con la fine di Quota 100 la prima conseguenza che salta agli occhi è il ripido scalone: il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età.

Anche per questo Graziano Delrio (Pd), ex ministro, ha lanciato l’idea di Quota 92. “Per un’Italia più giusta. Allo scadere di Quota 100, introduciamo Quota 92 (30 anni di contributi e 62 d’età) che aiuti donne e lavoratori impegnati in lavori usuranti. Diamo maggiori garanzie ai giovani. Anche così si esce dalla crisi”. Ci sono anche altre ipotesi sul tavolo. Una novità di rilievo verrebbe rappresentata da una sorta di Opzione Donna dedicata anche agli uomini. L’opzione per gli uomini porterebbe a un’uscita anticipata a 63-64 anni con un trattamento sul rateo interamente contributivo. Si ipotizza poi lo stacco dell’anzianità contributiva da quello legato all’aspettativa di vita con due finestre secche per l’uscita: 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. A queste soglie verrebbe applicato una sorta di blocco per non avere ulteriori innalzamenti in futuro. Inoltre l’uscita anticipata potrebbe essere concessa a tutti senza penalizzazioni sugli assegni a partire da 64 anni di età e 38 anni di contributi. Da Quota 100 a Quota 102.

 

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