C’è abuso di permessi se manca il nesso causale tra assenza da lavoro e assistenza. Lo ribadisce la Cassazione
Torniamo a parlare dei permessi lavorativi della legge 104 che consentono di assentarsi per assistere un familiare con disabilità. Lo facciamo a seguito di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che nella sentenza 16 gennaio-19 giugno 2020, n.12032 ha ribadito la necessità che sussista un nesso causale tra l’assenza del lavoro e l’attività di assistenza al familiare disabile.
Nella sua sentenza, la Cassazione ha fatto riferimento anche ad una recente sentenza di legittimità (Cass. n. 19580/2019), secondo cui solo se “viene a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente”.
IL FATTO
Una donna, lavoratrice dipendente, aveva fruito dei permessi previsti dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3 per assistere la madre, una donna con disabilità. La lavoratrice era stata successivamente licenziata poiché, sulla base della relazione dell’agenzia investigativa assoldata dal datore di lavoro, era stato ritenuto da quest’ultimo che la lavoratrice non avesse prestato effettiva assistenza alla madre durante il periodo di fruizione del permesso. Ne era seguito il ricorso da parte della lavoratrice prima in Tribunal e poi alla Corte d’Appello di Bologna, che ha disposto il reintegro della lavoratrice e un risarcimento pari a dodici mensilità, e infine il nuovo ricorso dell’azienda alla Corte di Cassazione (Sezione Lavoro), che lo ha invece respinto, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello.
Il caso è interessante perché si torna alla questione delle attività consentite o che debbano o meno implicare la compresenza con la persona da assistere, o se si possa ritenere “valida”, ai fini della fruizione dei permessi da legge 104, anche una serie di attività, ovviamente a vantaggio del soggetto non autosufficiente, da sbrigare anche fuori di casa, o comunque non in presenza.
LA SENTENZA
Il giudice della Corte di Cassazione ha ritenuto congrua la motivazione del Tribunale di primo grado, ritenendo che la relazione dell’agenzia investigativa da cui l’azienda aveva evinto che la lavoratrice non aveva prestato effettiva assistenza alla madre disabile durante il periodo di fruizione dei permessi, fornisse un quadro assolutamente lacunoso delle attività svolte dalla donna: da ciò non poteva reputarsi dimostrato che la dipendente avesse svolto attività incompatibili con l’assistenza.
In particolare, la Corte ha escluso che la “pochezza” delle risultanze investigative potesse integrare un quadro indiziario di una certa significatività, essendo invece emerso che la donna svolgeva una serie di attività a vantaggio dell’anziana madre non implicanti necessariamente la permanenza presso l’abitazione della stessa.
Nel caso specifico, inoltre, la Corte ribadisce che è in capo al datore di lavoro l’onere della prova dell’assenza di assistenza e/o dello svolgimento da parte dell’utilizzatore dei permessi di attività incompatibili con la prestazione della stessa. In sostanza, sta al datore di lavoro provare che la donna non si sarebbe occupata della madre durante la fruizione dei permessi.
La Corte ha quindi ribadito che soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente (ancora Cass. n. 19580/2019 cit.).