Assumere disabili per le aziende è obbligo di legge. La norma che lo sancisce è del 1999, legge numero 68, quella che introdusse il cosiddetto ‘collocamento mirato’, ovvero «quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto».
Sul concetto di ‘assumere’ è bene però fare qualche chiarimento. All’articolo 11 della legge sul diritto al lavoro per i disabili, quanto a «tempi e modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna a effettuare» si chiarisce che tra queste rientra anche il tirocinio «con finalità formative o di orientamento»: vale a dire che l’azienda può decidere di assolvere all’obbligo di assunzione anche solo attraverso degli stage, non necessariamente tramite contratti di lavoro.
Il 3% degli stage extracurricolari ogni anno riguarda soggetti disabili: secondo i dati che la Repubblica degli Stagisti ha ottenuto dal ministero del Lavoro sono esattamente 11mila (per la precisione, 11.001) i tirocini di questo tipo attivati lo scorso anno, sui 368mila totali. Nel 2017 si era registrato un numero simile: 11.438.
Vediamo però in quali casi scatta l’obbligo di assunzione. La legge 68 stabiliva l’obbligo solo nel caso si avessero 15 o più dipendenti e si procedesse a nuove assunzioni. Con il Jobs Act le regole sono cambiate, in particolare a seguito del decreto attuativo 151/2015 che ha eliminato il cosiddetto regime di gradualità, modificando il meccanismo previsto inizialmente: resta l’obbligo di assunzione a partire dai 15 dipendenti, ma a differenza di prima il datore di lavoro deve inserire in organico un disabile anche se non sta selezionando nuovi dipendenti. Basta il requisito numerico dei 15 presenti in organico. A cambiare sono poi i tempi che l’azienda deve rispettare per mettersi in regola: se prima del Jobs Act si poteva regolarizzare la propria posizione prendendo un lavoratore disabile entro 12 mesi, il periodo adesso si riduce a 60 giorni.
La ‘quota di riserva’, ovvero il numero di disabili da inserire per obbligo, è proporzionale all’organico: in particolare, dai 15 ai 35 lavoratori si deve assumere almeno un lavoratore disabile; dai 36 ai 50 lavoratori almeno due; oltre i 50 lavoratori la quota del 7% deve essere ricoperta da lavoratori con disabilità. Queste sono le proporzioni a cui dovrà dunque badare anche chi decide di prendere stagisti. Discorso a parte è poi quello della possibilità per le aziende di assolvere all’obbligo affidando i lavoratori disabili a cooperative di tipo b, quelle normate dalla legge 381/1991 e la cui mission è appunto l’inserimento occupazionale dei soggetti svantaggiati. L’azienda potrà avvalersene e in contemporanea dovrà assegnare loro commesse di lavoro. Sostanzialmente quello che può fare è quindi decidere di ‘aggirare’ l’obbligo di inserimento di disabili delegando il tutto a una cooperativa, che a sua volta riceverà dall’azienda una commessa di lavoro.
A chiarirlo è ancora il decreto legislativo 276/2003, per cui i servizi per il collocamento mirato delle persone con disabilità, sentito il Comitato tecnico, organo regionale istituito dalla legge 68 e preposto «alla valutazione delle residue capacità lavorative», possono stipulare con cooperative sociali di tipo B e consorzi «convenzioni quadro su base territoriale che devono essere validate dalle regioni, per l’inserimento di lavoratori svantaggiati alle quali i datori di lavoro privati conferiscono commesse di lavoro». Stesso dicasi dunque per i tirocini. Ma va tenuto conto anche di un altro paletto, e cioè che per le aziende al di sopra dei 50 dipendenti l’inserimento di disabili attraverso cooperative non può andare oltre il 30% della quota di riserva, ovvero le persone disabili da assumere in totale.
Un tirocinante disabile può rappresentare per un’azienda una risorsa più complessa da gestire, ma come sottolinea il sito di Assolombarda che alla questione tirocini per disabili dedica un kit, lo stesso «si rivela uno strumento particolarmente utile poiché, da un lato, consente all’azienda di effettuare inserimenti mirati e seguiti da strutture competenti» tenendo presente il fatto che questa tipologia di stagisti può presentare esigenze particolari. «Dall’altro lato permette al soggetto disabile di inserirsi con gradualità nel contesto organizzativo dell’azienda» proseguono da Assolombarda «anche grazie alla figura di supporto del tutor».
Esistono poi differenze di regolamentazione rispetto agli altri normali stage, di cui seguono la normativa generale di riferimento (suddivisa a livello regionale). La prima è l’allungamento della durata massima: per gli stage per disabili arriva a 24 mesi totali, fatta salva la valutazione dal Comitato tecnico. Inoltre, ricorda Assolombarda, in questo ambito non si applicano i vincoli numerici basati sull’organico aziendale (la proporzionalità tra dipendenti e numero massimo di stagisti), e il progetto formativo può prevedere l’acquisizione di professionalità elementari. Quanto al rimborso spese, ci si potrà discostare dalle soglie previste dalla normativa e le Regioni potranno definire agevolazioni o misure di sostegno.
La scelta delle persone con disabilità da inserire può avvenire facendo riferimento a chi risulta regolarmente iscritto negli elenchi del collocamento obbligatorio, tenuti presso il Servizio occupazione disabili del territorio. Per laureandi o neolaureati disabili gli atenei sono solitamente attrezzati con uffici appositi incaricati di seguire le loro problematiche, compresi i rapporti col mondo del lavoro. In Lombardia esiste per esempio il Coordinamento degli atenei lombardi per la disabilità (Cald), network composto da dieci università (tra cui l’università Statale di Milano, il Politecnico, la Bocconi, la Iulm, la Cattolica) per la condivisione delle esperienze e delle buone pratiche nel sostegno agli studenti disabili.
Le sanzioni per chi non rispetta gli obblighi del collocamento mirato sono oggi più severe. Il decreto legislativo 185/2016 ha per esempio stabilito che per ogni giorno in cui risulti scoperta la quota d’obbligo, il datore è tenuto a versare 153,20 euro. «In passato molte aziende concepivano l’inserimento obbligatorio come un onere sociale, tanto che molti preferivano pagare le penali piuttosto che assumere disabili» argomenta con la RdS Elio Borgonovi [nella foto], docente di Scienze sociali alla Bocconi e coordinatore del Cald. «Si è calcolato secondo controlli dell’Inps il versamento di ben due miliardi in penali». Oggi non è più questa la situazione, sottolinea il professore: «Ci sono politiche mirate, è cambiato l’approccio culturale anche grazie a tutto il filone del diversity management».
Senza contare le varianti esistenti nel campo della disabilità: la legge 104 del 1992, norma quadro sull’handicap, riunisce tutti i disabili sotto l’unica definizione di persone che presentino «una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale di emarginazione». Ma molto diverso sarà per esempio il caso di un disabile fisico rispetto a quello che riporta invece un deficit di tipo psichico. Ci si è però resi conto del potenziale di competenze apportato da queste persone, «che spesso sono molto precise e focalizzate, come quelle appartenenti allo spettro autistico, particolarmente valide per attività come il controllo dati e per i programmi informatici» rammenta Borgonovi. Ci sono perfino «studi che confermano come la presenza di disabili in azienda aiuti anche il resto del personale a migliorarsi» conclude il professore «perché i colleghi imparano a gestire situazioni di diversità».
Ilaria Mariotti
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