Non è la prima volta che succede: affermati esperti di comunicazione, talvolta letteralmente votati a rivendicare la necessità di una buona comunicazione, che non sanno parlare di disabilità. Qualcuno mi ha detto che l’importante è il concetto e che usare un linguaggio erroneo è lecito se serve a far arrivare il concetto sulla disabilità al lettore. Ma se la fai lunga sull’importanza delle parole come veicolo dei concetti, che significa che sai che per costruire una buona casa devi usare i mattoni giusti, perché quando ti fanno notare il tuo errore non resti coerente, abbassi le ali e lo affronti? Concita De Gregorio, giornalista che non ha bisogno di presentazioni, non è stata di tal viltà, ma ha combinato un grosso guaio linguistico, con tanto di scuse di tenore medesimo.
Premessa: errare è umano. Altra premessa: so di non sapere. Somma: si può sbagliare e non si può sapere tutto di tutto. La consapevolezza dovrebbe coincidere con l’umiltà. E il desiderio di abbracciare nuove conoscenze. Io stesso nel mio campo, quello del linguaggio della disabilità, sono conscio di poter sbagliare. Nessun matematico ha mai sbagliato un passaggio nelle sue equazioni?
C’è una cosa che non faccio mai e che non andrebbe mai fatta: trattare un argomento improvvisando. Per quanto concerne la disabilità molti improvvisano. E improvvisano perché non conoscono. Anzi, sono certi di conoscere animati dalla cultura con cui si sono formati. Che, se non ti aggiorni, è quella dei portatori di handicap, mongoloidi e aberrazioni analoghe. Aggiornarsi: un upgrade ogni tanto svecchia e dà quel tanto che serve per essere in sintonia il sapere più attuale.
Prima di arrivare ai fatti della De Gregorio, un veloce excursus sulle parolacce della disabilità. Mongoloide non si dice, perché idiota sì? Perché nel primo caso non ci siamo ancora liberati dei pregiudizi nei confronti delle persone con sindrome di Down, che purtroppo molti ritengono ancora inferiori rispetto a uno standard di idealità retrogrado, obsoleto e persino effimero. Idiota, che sarebbe sempre meglio non usare, è ormai svincolato dall’appartenenza alla disabilità. Semplicemente perché quelli che un tempo erano diagnosticati idioti ora sono persone con epilessia, disagio mentale e altri deficit che distinguono l’idiozia patologica di un tempo dalla dabbenaggine con cui oggi si identifica il cosiddetto idiota. Meglio non usare parole che potrebbero richiamare la disabilità ma non tutte hanno lo stesso peso.
È richiesto un ulteriore passo per la comprensione degli improperi con matrice sulla disabilità. Bisogna chiedersi qual è l’uso dell’epiteto. Se dico a una persona che è un idiota nel fare una sciocchezza è ben altro che dare dell’idiota come dispregiativo. In questo caso il termine, come nel caso di imbecille, stupido e mille altri termini analoghi, si carica di un livore che riduce il destinatario a un tale livello di presunta inferiorità da retrogradare le lancette del tempo agli anni in cui la disabilità e l’inferiorità andavano di pari passo.
Veniamo ai fatti della dottoressa De Gregorio, persona di innegabile autorevolezza culturale: ex direttrice de L’Unità, prolifica autrice di libri, conduttrice televisiva e attualmente al comando di The Hollywood Reporter Roma, nonché editorialista de La Repubblica.
Su questo giornale, nella rubrica InveceConcita, ha commentato fatti di giovanile vandalismo nel pezzo Il valore di un selfie, che si può leggere cliccando qui.
Qui la persona di cultura devia verso una direzione che non si addice a chi ricopre questo ruolo. La De Gregorio parla di cretini integrali, riferendosi ai giovani vandali, e se sul termine cretino credo di essermi espresso a sufficienza, benché la patologia di cretinismo esista ancora, è proprio l’uso a renderla sgradevole. Da una persona di cultura mi sarei aspettato: primitivi assoluti, trogloditi perfetti, retrogradi professionisti.
La giornalista etichetta costoro come deficienti «Nel senso che hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro se ce l’hanno – e che pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia di migliaia di follower». Ora, il deficit cognitivo presume rispetto, non dileggio. Se una persona si comporta male e ha un deficit cognitivo è da comprendere e aiutare, non da offendere o compatire. Sembra che a voler giustificare l’uso di deficiente ci si appigli al deficit senza comprendere che il deficit è motivo di comprensione invece che di affronto.
Il punto più basso a mio giudizio è il seguente: «In un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca». Le classi differenziali, che peraltro rappresentavano un modo per consentire alle persone con disabilità di frequentare la scuola al di fuori delle scuole speciali, non erano luoghi abitati da individui da prendere a modello quali esempi di incapaci da seguire passo passo.
E non avevano l’insegnante di sostegno, che è stato istituito anni dopo. Ma è l’impianto della frase a destarmi ribrezzo. Sembra che i vandali debbano essere spediti in un cerchio infernale da dove la redenzione abbisogna di una guida destinata ai reietti. È un’interpretazione mia, naturalmente. Sicuramente lontana dall’intendimento della De Gregorio, ma un sapore amaro in bocca mi resta.
Non è frutto della mia interpretazione l’uso della giornalista di decerebrati, termine che ha scatenato le ire di chi difende i diritti delle persone con cerebrolesione. Se decerebrato vuol dire senza cervello, e già questo presume rispetto per la persona in queste condizioni, l’allusione sembra rivolta a chi si trova in uno stato di cerebrolesione. Che non ha a che vedere con un deficit mentale, bensì con un fisico. Perché la lesione cerebrale consiste in una lesione alla struttura e non direttamente alle facoltà mentali.
Arrivano le scuse, che si possono leggere a questo link.
Le scuse citano l’handicap. Si parla di afflizione da un danno. Di normodotati. E di cerebrolesi come di persone meravigliose. La solita insipienza sul linguaggio, che è quello su cui sono costruiti i concetti. Il solito abilismo, dunque: handicap non si usa più dal 2001, la mentalità dell’afflizione è quella del linguaggio non neutro (o pietistico), normodotato richiama il concetto di una normalità effimera e le persone con disabilità non sono tutte buone solo perché con disabilità. Io, per esempio, in questo momento sono cattivissimo.
La De Gregorio fra il suo articolo e le scuse avrebbe potuto informarsi, ormai ci sono diverse guide sul linguaggio in circolazione, eppure niente. Avrebbe potuto comprendere qual è il linguaggio corretto e non agganciarsi alla sterile polemica sul linguaggio politicamente corretto, come appunto fa nelle scuse. Il politicamente corretto non mi piace. Il corretto è d’obbligo. Proprio perché il linguaggio è fatto di parole che sostengono concetti e i concetti si reggono sulla correttezza, non sulla correttezza di forma o, peggio, per proforma.
Concludo con il mio solito saluto, quello che la De Gregorio dice che bisognerebbe togliere ai giovani di cui parla.
Un sorriso,
di Antonio Giuseppe Malafarina