Studentessa disabile di Treviso costretta a studiare a casa perché in classe non le danno un operatore formato in lingua dei segni

La famiglia fa ricorso al Tar

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di Mauro Favaro

TREVISO – Vede e sente, ma non può parlare, se non attraverso la lingua dei segni. Negli ultimi due anni, però, la 15enne con disabilità che frequenta la terza media in una scuola del distretto di Treviso non ha potuto contare in modo costante su questo supporto all’interno della classe.

Il piano individuale e le incomprensioni, la famiglia fa ricorso al Tar

Dopo diverse proposte e una serie di incomprensioni, la famiglia ha fatto ricorso al Tar. E la sentenza emessa lo scorso settembre ha annullato il Piano educativo individualizzato (Pei) timbrato dall’istituto comprensivo, condannando il ministero dell’Istruzione a pagare le spese legali, e soprattutto ha messo in chiaro “il diritto dell’alunna di beneficiare dell’ausilio di una figura di esperto nella lingua Lis per l’intero orario scolastico“. Nel frattempo la ragazza ha cambiato scuola. Ma trovando di fatto gli stessi problemi. Tanto che la famiglia ora ha avviato un procedimento per il giudizio di ottemperanza, sempre nell’ambito della giustizia amministrativa. Tradotto: si chiede un nuovo pronunciamento in modo da dare effettiva esecuzione alla sentenza del Tar. Insomma, una vera e propria odissea. Con il risultato che adesso la 15enne è a casa da scuola. «Proprio a causa della situazione di stress che si è venuta a creare» spiegano i genitori. La situazione è complessa. Ma andiamo con ordine. Si parte da una diagnosi funzionale chiara: «Appare fondamentale che le figure di supporto siano capaci di integrare la comunicazione con il canale visivo gestuale (Lis) per garantire un buon grado di integrazione e apprendimento. Una privazione di adeguati strumenti comunicativi potrebbe porre la bambina di una condizione di rischio psicopatologico, pertanto si richiede la presenza dell’assistente alla comunicazione».

Violate le disposizioni, il supporto alla bimba non era continuo

Così non è stato. Non in modo continuativo, almeno. «Il Piano educativo individualizzato, contravvenendo a tali indicazioni, ha invece previsto la presenza di un insegnante di sostegno privo della conoscenza del linguaggio Lis, le cui ore di insegnamento non possono pertanto essere conteggiate al fine di soddisfare le esigenze dell’alunna, per 18 ore settimanali – si legge nella sentenza del Tar – il piano ha previsto inoltre la presenza per sole 16 ore dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione per la disabilità sensoriale, lasciando l’alunna per metà delle 32 ore dell’orario curricolare senza mediazione linguistica». Per i giudici amministrativi sono state violate non solo le disposizioni riguardanti il mondo della scuola, ma anche 4 articoli della Costituzione. C’è inoltre il nodo della mancata predisposizione da parte di alcuni insegnanti di testi semplificati, idonei alla mediazione nella lingua dei segni. Su questo vengono citate come conferma le relazioni degli assistenti alla comunicazione Lis. «Un tale obiettivo, senza che sia stato attivato alcun rimedio, non risulta essere stato assicurato nel corso dell’anno scolastico» scrivono i giudici. Da settembre, la 15enne ha cambiato scuola. Ma a quanto pare si è punto e a capo. Oggi l’alunna è a casa. Ci pensa la mamma a continuare il programma di studi, come nell’istruzione parentale. Non è però una sua scelta. La famiglia, dal canto proprio, si è detta disponibile a spendere all’interno della scuola 18 o anche 19 delle 20 ore a settimana di mediazione Lis assicuratale dall’Usl. Sul tavolo c’è pure la possibilità di attivare una convenzione tra l’istituto comprensivo e l’università Ca’ Foscari per poter contare su dei tirocinanti nella lingua dei segni. Fatto sta che fino a questo momento non è stata trovata una soluzione. E adesso si attende il nuovo verdetto del Tar.

 

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