NEL TESTO DELL’ ORDINANZA
Quei maltrattamenti e quelle umiliazioni venivano praticate da chi poi si trincerava dietro un muro insormontabile.
Redazione BresciaOggi
Da un lato loro, che avrebbero dovuto prendersi cura delle persone, in serissime difficoltà, che erano state affidate alle loro attenzioni; dall’altro chi, dall’interno, ha scoperto quanto stava accadendo nella Rsd «Giuseppe Seppilli» di Brescia e non ha esitato a rivolgersi alle forze dell’ordine, nella fattispecie, il Nas di Brescia. In mezzo, le vittime di quelli che alla luce delle telecamere piazzate dai carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni appaiono qualcosa di diverso da presunti maltrattamenti.
Dai singoli episodi di maltrattamento alla segnalazione, poi l’installazione delle telecamere
Sono immagini, lamenti, umiliazioni di chi soffre e imprecazioni di chi maltrattata, parole che lasciano il segno su chi, gli indagati ritengono non possa capire. Di certo, quel qualcuno stava tanto male. Ma tutto ciò rimaneva «murato», fino a quando, per esempio, non sono comparse ferite al capo di una paziente, che secondo la coordinatrice non potevano trovare spiegazione in un gesto della paziente. C’è poi un altro episodio, con una paziente che ha riferito «di essere stata picchiata al capo da una nuova operatrice, «piccola, robusta e brutta». Il terzo episodio, infine è sfociato nella «sostituzione da parte di ignoti della terapia farmacologica predisposta per una paziente». Sono arrivate le telecamere dei carabinieri del Nas, su disposizione della procura di Brescia, e gli episodi contestati agli indagati, in tutto cinque, quattro uomini e una donna, sono saliti a un’ottantina. Nei confronti dei cinque operatori socio sanitari coinvolti, il gip ha disposto «il divieto di avvicinamento alle persone offese».
La nota dell’Asst Spedali Civili
«Dal marzo dello scorso anno erano stati spostati i cinque operatori socio sanitari» ha sottolineato ieri in una nota l’Asst Spedali Civili, l’azienda sanitaria che gestisce la residenza.«Asst Spedali Civili – si legge nella nota – è vicina a tutti gli ospiti della struttura e alle loro famiglie e a tutti gli altri operatori che, come sta emergendo dalle indagini, hanno dimostrato e continuano a dimostrare grande umanità e professionalità nel prendersi cura degli ospiti ogni giorno»
Le parole – e i gesti – crudeli riportati nel testo dell’ordinanza del giudice
Dai dialoghi riportati nelle 37 pagine dell’ordinanza si apprende di porte «fatte chiudere con la testa», al punto di far dire uno degli indagati «gli ho dato una craniata». C’è poi il paziente che chiede di spegnere la luce. La risposta: «Figurati se spengo la luce per te c…mettitela nel c…la luce». E quindi, il disabile che non ha alcuna autonomia residua. Il trattamento per lui, secondo la ricostruzione accusatoria e gli elementi raccolti, è pesantissimo quando si tratta di cambiare il pannolone: insulti e minacce che si deducono dai lamenti del paziente. E le domande poste dall’operatore sanitario sono di questo tenore: «…quanto c… pisci, porco zio? … ti dobbiamo cambiare il panno, ok? Quindi o con le buone o con le cattive te lo cambiamo. Se scassi le balle lo facciamo con le cattive».
In questa fase delle indagini viene individuato un terzetto che si sarebbe reso responsabile dei maltrattamenti. E ci sono altre due destinatarie, in condizioni di disabilità molto serie. E tre erano i soggetti principalmente presi di mira dagli indagati, secondo gli atti dell’indagine fatti propri dal gip. Così nell’ordinanza è riportato che «gli insulti e le minacce a carico del paziente, sia da parte dell’indagata che della collega, si ripetono poi immancabilmente nei giorni successivi, quando il primo minacciava apertamente il paziente di tirargli un oggetto in testa «vi che te sbattu questo ‘ntesta ah»; «te sbattu chiustu in tiesta», e lei augurava apertamente la morte al paziente («acciiiiret», solo perché spazientita dal canto dell’uomo); sempre dopo avere preso a male parole il degente, gli lanciava un panno contro».
Sempre secondo il gip «come si è detto, gli episodi più allarmanti riguardavano “ un paziente“ il quale, ben si può affermare, era letteralmente preso di mira da “un indagato“ nella gran parte dei casi con la fattiva collaborazione» dell’indagata. Tra gli episodi più pesanti, quello avvenuto quando «nel transitare accanto al letto» di un paziente, un indagato «gli stringeva senza alcuna apparente ragione il piede sinistro, provocando una evidente smorfia di dolore nell’uomo»; poi, nel movimentarlo per cambiarlo, con la collaborazione di altri «imprimeva verosimilmente una forza eccessiva sul corpo del degente, che emetteva urla, fino ad arrivare a torcergli il braccio dietro il capo, per costringerlo a stare fermo, ciò che si evince pure dalle parole pronunciate dall’indagato».
Ma gli operatori sono finiti nell’ordinanza anche per altre vicende: «All’inizio, si approcciava al malato con i consueti insulti e minacce(«n ‘t move!E ingestibile stu coglione!»); dopo averlo bloccato, e iniziavano a lavargli i genitali con acqua fredda; nel fare ciò, i due erano evidentemente consapevoli del profondo disagio provato dal paziente (che presenta, secondo quanto risulta dalla documentazione medica, una bassissima tolleranza all’acqua), che per tutto il tempo delle operazioni urlava; si mostravano palesemente compiaciuti per la reazione disperata del degente».•.