Legato a una sedia con un filo elettrico strappato dal muro; preso a schiaffi e minacciato con un coltello, terrorizzandolo al punto tale che saltare dalla finestra è sembrato ad Hasib Omerovic l’unica scelta per trovare una via di fuga. Questa la ricostruzione degli inquirenti su ciò che avrebbe messo in atto l’agente di polizia Andrea Pellegrini, finito ai domiciliari con la pesantissima accusa di tortura per quanto sarebbe successo il 25 luglio scorso in un appartamento del quartiere Primavalle di Roma. Per lui l’accusa anche di avere scritto il falso, in concorso con altri, nella nota di servizio sull’attività svolta. Nei confronti di quattro agenti, finiti nel registro degli indagati e oggi perquisiti, anche l’accusa di depistaggio.
I fatti del 25 luglio scorso, secondo l’accusa
Tutto questo è il frutto di una indagine svolta dagli uomini della Squadra Mobile della Polizia di Stato con tempestività. La perquisizione in estate era stata motivata col fatto che su alcuni profili Fb erano comparsi alcuni post in cui si accusava Omerivic di avere molestato delle ragazze del quartiere. Un’ispezione, compiuta da almeno quattro agenti, che si è però trasformata in una scena da arancia meccanica, con un’aggressione sia fisica che psicologica che ha portato il trentenne, affetto da sordomutismo, a lanciarsi dalla finestra. Per quel drammatico volo Hasib è tutt’ora ricoverato in ospedale. L’indagine della Procura di Roma, coordinata dall’aggiunto Michele Prestipino, ha ricostruito quanto avvenuto quel pomeriggio di luglio in uno dei quartieri popolari dell’area ovest della Capitale. L’agente, a cui è contestato anche il reato di falso in concorso con altri due colleghi per quanto scritto nella nota di servizio dopo i fatti, è entrato “all’interno dell’abitazione, immediatamente e senza alcun apparente motivo” ha colpito Omerovic “con due schiaffi nella zona compresa tra il collo e il viso, contestualmente rivolgendo al suo indirizzo, con fare decisamente alterato, la seguente frase: Non ti azzardare mai più a fare quelle cose, a scattare foto a quella ragazzina” e dopo avere impugnato “un coltello da cucina lo brandiva all’indirizzo” dell’uomo.
Pellegrini ha poi sfondato la porta della stanza da letto di Omerovic, sebbene quest’ultimo “si fosse prontamente attivato per consegnare le chiavi”. Una volta dentro la stanza, ha costretto il ragazzo a sedere su una sedia e, dopo avere strappato un filo della corrente del ventilatore, “lo utilizzava per legare i polsi di Omerovic, brandendo” ancora una volta “il coltello da cucina, minacciandolo, urlandogli contro la seguente frase Se lo rifai, te lo ficco nel c***o”. Poi “lo colpiva nuovamente con uno schiaffo e continuava ad urlare nei suoi confronti, dicendogli ripetutamente Non lo fare più”.
Il gip: “Atti di violenza gratuita, incapacità di autocontrollo di Pellegrini”
Per il gip “gli accadimenti sono indubbiamente di entità grave, commessi in spregio della funzione pubblica svolta, nonché violando fondamentali regole di rispetto della dignità umana. I ripetuti atti di violenza e minaccia appaiono del tutto gratuiti. Pellegrini – aggiunge il gip – non ha avuto alcuna remora di fronte a un ragazzo sordomuto e a una ragazza con disabilità cognitiva (la sorella di Omerovic, presente alla scena, ndr)”. Il tutto si è svolto “compiendo ripetuti atti violenti e gravemente minatori, sia sulle persone che sulle cose, così da denotare pervicacia e incapacità di autocontrollo”. Nell’ordinanza il giudice scrive inoltre che “seppur l’intervento presso l’abitazione di via Gerolamo Aleandro possa ritenersi (inizialmente) legittimo, in quanto finalizzato, in un’ottica preventiva da parte degli agenti di polizia, all’attività di identificazione di Omerovic, sebbene solo per via di alcune notizie apparse su Facebook che lo davano come molestatore di ragazze del quartiere, questa attività è stata svolta con modalità del tutto anomale e, quantomeno da un certo momento in poi, strumentalizzata; con conseguente violazione dei doveri e abuso e travalicamento della funzione, in particolare da parte dell’assistente capo Pellegrini”.
Il giudice lo definisce come un intervento “punitivo” perché “l’attività di identificazione è divenuta semplicemente un pretesto; e che integra, almeno nella valutazione di questa sede, il delitto di tortura”. Violenze e minacce “compiute in danno di una persona inerme attraverso un’irruenza minatoria ben visibile ad Hasib, evidentemente anche mimica, in occasione di un’identificazione che, sotto il profilo delle modalità esecutive, appare anomala e ha assunto essa stessa, nella dinamica, caratteri autoritari e, al contempo, mortificanti per la persona”.