La testimonianza: «Mio padre ricoverato negativo, contagiato e morto da solo». «Aveva 89 anni, era sordo e disorientato: si è lasciato andare per l’angoscia»
SASSARI. Questa è una triste storia, come tante altre in periodo di Covid. I protagonisti, loro malgrado, sono le persone anziane, le più deboli di fronte a un virus che li strappa dai loro affetti e li lascia completamente soli e disarmati a combattere. Alcuni ce la fanno, altri si arrendono anche per la disperazione, ma forse con un po’ più di umanità si potrebbero salvare.
«Mio padre si chiamava Francesco Salis, era autosufficiente, e oggi avrebbe compiuto 89 anni. Tutti i santi giorni faceva camminate per diletto. Una mattina si ritrova dal medico di base a lamentare un dolore alla pancia. È anziano, ha un gorgoglío ai polmoni, potrebbe essere Covid?
Insomma si presume sia opportuno un ricovero urgente». Una giornata passata al pronto soccorso, la lunga attesa, può essere destabilizzante: «Per mio padre inizia l’effetto del disorientamento. Gli fanno il tampone, per fortuna l’esito è negativo.
Viene ricoverato in Medicina dove verrà curato per una accertata infezione alla colecisti». Dopo una decina di giorni, dato che tutti i valori sono in miglioramento, i medici decidono il trasferimento in Lungodegenza. «Durante le quotidiane telefonate ai vari reparti, si conferma il persistere del disagio psicologico con disorientamento e manifestazioni di sconforto, una costante nei diversi reparti di degenza.
Dopo 4 giorni in Lungodegenza, poiché qualche giorno prima si era registrato un focolaio in Medicina, lo staff effettua il tampone a mio padre. Questa volta il test è o positivo, e viene subito trasferito in Malattie Infettive. Da una imminente dimissione, si passa a un altro calvario. E io mi chiedo: com’è che nei reparti i pazienti arrivano con tampone negativo, e poi, proprio nel luogo dove dovrebbero guarire, si ritrovano contagiati di Covid?». È un lento calvario: «Nei vari passaggi di reparto si smarriscono gli effetti personali e gli apparecchi acustici.
Dopo 4 giorni, dove non ci sono i sintomi del virus e il suo morale continua ad essere, per così dire, precario, avviene il peggio: il decesso a seguito di un infarto, ed ogni intervento per salvargli la vita risulta vano. Dopo 23 giorni di ricovero, solo e isolato anche per via della sordità, mio padre non c’è più. A mio sentire penso che abbia contribuito il crepacuore, l’angoscia, l’essere stato strappato dal suo quotidiano. Un dolore e uno smarrimento, che per una persona della sua età, devono essere stati insopportabili.
E chi gli ha voluto bene resta una pena infinita e anche la rabbia, per un epilogo che forse si sarebbe potuto evitare. Perché mio padre, prima di entrare in quell’ospedale aveva ancora tanta voglia di vivere». (lu.so.)