È stata l’arte a salvare Amanuel. Lui è sordo dalla nascita, è nato in Eritrea, ha lavorato da bambino, ha fatto il viaggio della speranza in un barcone, è stato picchiato in Libia, ha rischiato di morire. E ogni volta, si è salvato grazie all’arte.
L’arte del disegno, quella che ha sempre avuto, complice la sua sordità, sin da quando ha 7 anni. «Da piccolo disegnavo ovunque, era il mio modo di sentire le cose. Mia madre mi dava gli schiaffi perché voleva che giocassi a pallone con altri bambini, ma io preferivo disegnare». Una passione che non l’ha mai abbandonato: «Ho avuto sempre con me una carta e una penna».
I suoi disegni sono diventati via via sempre più belli e oggi sogna di diventare un artista professionista. Ha disegnato mentre era rinchiuso nei campi di detenzione in Libia, ha disegnato sul gommone, ha disegnato mentre era in viaggio. Oggi Amanuel è rifugiato in Italia, vive in un centro di accoglienza a Firenze, passa il suo tempo a disegnare piccole opere d’arte. Non dimentica il suo passato, a volte tenta di rappresentarlo su carta. Non dimentica le mille difficoltà. «Sono nato in un piccolo paese che si chiama Viyajada, vicino Asmara», racconta. «La mia infanzia in Eritrea non è stata bella – prosegue – essendo sordo non avevo possibilità di studiare, di vivere ed essere felice». Prima ha frequentato la scuola elementare per sordi, ma la scuola secondaria non aveva alcun sostegno per la sua disabilità. Così la sua famiglia lo ha mandato a lavorare. Per 12 anni ha lavorato come imbianchino, ma le difficoltà in patria crescevano così ha tentato di emigrare quando era ormai ventenne.
È arrivato in Libia dopo una sosta di qualche anno in Sud Sudan: «Ci hanno caricati sulle jeep e ci hanno portato al confine con la Libia. Ero sempre insieme a mio cugino. Per 10 giorni sono rimasto in una grande jeep, con 30 persone dentro. Ci obbligavano a stare stretti, senza far alcun movimento. Ci davano dei veli per coprirci, perché attraversavamo deserti ventosi con la sabbia che ci arrivava negli occhi. Il sole era fortissimo, non ci davano da mangiare o da bere, abbiamo rischiato di morire di sete e fame». Poi a Tripoli, rinchiuso in un centro per nove mesi: «Sono stato picchiato e torturato». E poi ancora il viaggio attraverso il mare. Ma senza fortuna: «Quella notte ci hanno trovati e ci hanno nuovamente riportato in prigione, per altri tre mesi».
Le condizioni di vita di Amanuel, aggravate anche dalla sordità, sono state notate dagli operatori dell’Unhcr. «Hanno visto la mia grave situazione e una rappresentante mi ha salvato, mi ha dato vestiti puliti, mi ha dato cibo e soprattutto materiale per disegnare. Ha preparato i miei documenti, ha visto i miei disegni e mi ha selezionato per partire per l’Italia. E così sono partito». È arrivato in Italia con un ponte aereo. Prima destinazione Roma. «Per la prima volta ho sentito di avere una speranza per il mio futuro. Mi hanno curato, mi hanno fatto sentire più al sicuro, più tranquillo e sentivo di poter vivere. Mi hanno dato documenti legali, tutto il necessario per poter rimanere». Poi il centro di accoglienza a Empoli, infine a Firenze, al centro Paci della cooperativa «Il Cenacolo». «Ho conosciuto la prima sorda italiana che sapeva la lingua dei segni internazionale. E da lì ho trovato speranza, felice di comunicare in maniera serena, di trovare qualcuno capace di capire cosa dicevo e cosa avevo bisogno».
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