“Bullizzata perché sorda, ora sono mamma e infermiera”

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L’interno di una struttura sanitaria – Foto di repertorio

 

Simona Marino si è laureata presso il distaccamento di Viterbo dell’università la Sapienza e racconta la sua storia: “Nelle difficoltà e nella sofferenza risiede il seme della crescita”

Viterbo – “Bullizzata perché sorda, ma ora sono mamma e infermiera”. Simona Marino ha da poco concluso il corso di laurea in infermieristica presso il distaccamento di Viterbo dell’università la Sapienza. È affetta da sordità neurosensoriale bilaterale profonda (“non mi dà la possibilità – spiega – di affrontare la vita con le stesse capacità uditiva della maggioranza della popolazione”) e ha raccontato la sua storia a Nurse times, giornale di informazione infermieristica.

A Nurse time Simona Marino ha detto: “Nella vita ho incontrato enormi difficoltà, soprattutto dovute all’indifferenza delle istituzioni che mi hanno negato la pensione di invalidità al raggiungimento del 18esimo anno di età per ben sei anni. Periodi in cui, senza sussidi, ho dovuto interrompere il mio percorso di studi non avendo oltretutto nessuna agevolazione per affrontare economicamente il percorso universitario”.

Ma oggi la situazione è fortunatamente cambiata. “Ho finalmente coronato il mio sogno – continua Simona – e sono infermiera iscritta all’albo. Nel corso del tempo, nell’attività didattica, ho acquisito sempre più dimestichezza con le materie di studio, immergendomi con passione e sempre più convinta di avere le capacità per affrontare il percorso. Non mi sono mai scoraggiata, neanche quando per me sembrava impossibile. Ad esempio, non ho mai potuto beneficiare dell’ascolto delle lezioni dei docenti: la mia sordità mi impedisce di seguire per filo e per segno l’intera lezione, svolta in un’aula dove l’acustica non facilita la comprensione e il mormorio dei compagni disturba i miei apparecchi acustici, rendendo spesso confuso il segnale. Ho sopperito con registrazioni e sbobinamenti e, grazie al supporto dell’ufficio disabili, che mi ha fornito il supporto di tutor, ho potuto almeno in parte colmare alcune difficoltà. Sempre grazie all’ufficio disabili, ho avuto un Ipad in comodato d’uso gratuito che mi ha permesso di visualizzare le slide e studiare varie materie”.

Simona Marino racconta anche le esperienze di tirocinio all’ospedale di Belcolle a Viterbo e a quello di Montefiascone. “Il percorso – dice – è stato per me molto più semplice. In ogni reparto in cui sono stata impiegata sono riuscita ad applicare le tecniche infermieristiche che mi venivano insegnate. Ricordo che spesso mi sono sorpresa di me stessa, scoprendo ogni giorno di più che la scelta di fare l’infermiera è stata quella giusta. Nella mia vita, avendo la disabilità uditiva, ho dovuto sviluppare una maggiore capacità di osservazione rispetto agli altri e, grazie alla lettura del labiale (capacità sviluppata sin dalla tenera età), ho scoperto essere molto utile nell’approccio con i pazienti. Spesso i pazienti, oltre alle cure mediche, si trovano ad affrontare situazioni di disagio psicologico, nonché di sofferenza fisica, e necessitano di supporto a livello umano. Questa è stata una grande opportunità per mettere in campo le mie capacità a livello umano. Infatti ho potuto trasformare la sofferenza di una vita ai margini della società, date le difficoltà economiche della mia famiglia, e la tremenda indifferenza del mondo nei confronti di una disabilità che talvolta è pesata su di me come un macigno”.

Sulla pelle di Simona anche anni di bullismo e indifferenza. “Tra il fenomeno del bullismo nei miei confronti e l’indifferenza di molti – prosegue – , ho sviluppato la tendenza a prendermi cura di tutti coloro che si trovano ad affrontare patologie e disabilità. So perfettamente come ci si sente a essere non assistiti nella malattia. Mi basta ricordare che, fino all’età di otto anni, avevo un solo apparecchio acustico, oltretutto nemmeno adatto al tipo di sordità che ho. Spesso i pazienti mi hanno dato enormi soddisfazioni, facendomi i complimenti per la mia disponibilità alla comprensione, soprattutto per quanto riguarda il disagio del ricovero e la sofferenza della malattia. Un altro aspetto che mi ha dato soddisfazione è la comunicazione con i pazienti tracheotomizzati, che possono esprimersi soltanto con il movimento delle labbra. Ricordo con piacere che più volte è capitato di essere chiamata in causa nei vari reparti per comprendere cosa volesse comunicare il paziente”.

Infine i ringraziamenti. “Devo ringraziare molte persone che, lungo il percorso universitario e di tirocinio, si sono rese disponibili ad aiutarmi: colleghi, amici, docenti, ufficio disabili, dottori e infermieri. Ma soprattutto devo ringraziare mia suocera, che si è spesso sostituita a me durante i tre anni nel crescere ed educare mia figlia che a otto mesi dalla nascita ha dovuto fare i conti con questo mio impegno quasi a tempo pieno. Devo inoltre ringraziare il mio compagno che si è dannato l’anima per trovare le leggi che mi dessero il diritto a riavere la pensione di invalidità, quasi come fosse un avvocato, incoraggiandomi con insistenza nella mia crescita personale e facendomi credere nelle mie capacità e stimolando la mia voglia di affrontare il percorso. Lui dice sempre che a volte ci credeva solo lui. Ed è vero, perché quando l’ho conosciuto, all’età di 24 anni, ero sfiduciata, abbandonata a me stessa, senza grosse pretese, spesso convinta che in fin dei conti non valevo niente. Ma il suo amore mi ha salvato, lanciandomi verso la vita, dandomi una splendida bambina e contribuendo a farmi diventare un’infermiera”.

Simona spiega anche perché ha voluto raccontare la sua storia. “Nasce dal bisogno – conclude – di comunicare a tutte le persone audiolese che nulla è impossibile, neanche per noi sordi. Il messaggio che voglio dare è che nelle difficoltà risiede il seme della crescita personale e nella sofferenza si può riflettere, trasformare la propria vita in una missione, come ritengo sia quella dell’infermiere”.

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