I lettini, i ricami, le preghiere: il tempo si è fermato al Pio istituto delle sordomute povere di Bologna

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L’ultima ospite se ne è andata ormai qualche anno fa, ma sembra ieri, almeno a guardare il grande dormitorio affacciato sugli Orti di via Orfeo.

Sette lettini, che paiono quelli dei nani di Biancaneve se non fosse che sopra ciascuno c’è il nome del donatore, tutti rifatti in ordine perfetto. Poco più in là, c’è l’austera ma elegante camera, anche questa ferma al secolo scorso, dove dormiva la madre superiora, la figura che gestiva il Pio Istituto delle Sordomute Povere, nome dickensiano, per una delle istituzioni benefiche più longeve di Bologna.

L’insegna campeggia ancora in via della Braina al civico 11, un grande portone dietro cui si apre un mondo sconosciuto ai più. Millecinquecento metri quadrati dove dalla metà dell’Ottocento hanno trovato riparo e istruzione le fanciulle non udenti delle famiglie disagiate bolognesi.

Oggi il Pio Istituto è diventato fondazione e continua ad aiutare le studentesse non udenti all’interno di percorsi istituzionali, ma c’è stato un tempo in cui per le bambine sordomute essere accolte qui era una fortuna. Perché imparavano a leggere e scrivere, ma soprattutto a ricamare e cucire, e dunque a mantenersi. Storie di solidarietà di una volta, che qui si possono ancora toccare con mano, perché tutto è incredibilmente rimasto come eradi

EMANUELA GIAMPAOLI, fotoservizio GIANLUCA PERTICONI/Eikon studio

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