Le ex Province vanno dritte verso il completo dissesto, mentre attendono il completamento di una disgraziata riforma tante volte annunciata dalla politica. Un vero e proprio fallimento della politica che si ripercuote sui più deboli
È difficile per chi è genitore non immedesimarsi nella dolorosa situazione in cui versano le persone di cui ha scritto ieri su Livesicilia Roberto Immesi. L’articolo raccontava delle difficoltà dei bambini sordi che frequentano il centro diurno Padre Annibale Maria di Francia, di via Castellana a Palermo, dove le attività pomeridiane sono state sospese a causa dei tagli dell’ex Provincia. Una storia che si ripete negli altri liberi consorzi. A Siracusa il caso sta finendo davanti all’autorità giudiziaria. I servizi per i disabili che garantivano le Province sono sospesi o comunque ridotti in tutta la Sicilia per la tragica situazione finanziaria degli enti di area vasta. Una situazione tanto complicata da indurre già alcuni commissari delle ex Province a fare un passo indietro, come raccontato da Livesicilia la settimana scorsa.
Quando vengono a mancare le risorse per garantire i servizi alle persone disabili, o diversamente abili, il lessico politically correct in questa sede è secondario, una comunità certifica in qualche modo il suo fallimento. Lo strazio dei genitori dei bambini non udenti del centro palermitano, che restano a casa perdendo un conforto essenziale nell’economia delle loro vite, colpisce al cuore ogni genitore. E scatena una rabbia profonda. Quella che, di fronte ai disastri di una Regione piena di guasti, spesso si indirizzano verso destinatari indefiniti. Perché in Sicilia il discorso è sempre lungo, la situazione è sempre complessa e figlia di anni di errori, e le responsabilità sono sempre sfuggenti. E invece stavolta no. Questa volta, a sentire le spiegazioni dei commissari, dell’Anci, dello stesso governo regionale, che ha affrontato la vicenda nel dibattito della finanziaria, stavolta le responsabilità di questo disastro non albergano in un limbo scolorito e senza volto. Ma sembrano invece molto precise.
Le ex Province siciliane sono senza il becco di un quattrino, hanno ricevuto qualche spicciolo dalla manovra regionale appena approvata ma è dallo Stato che attendono i denari necessari per funzionare e garantire i servizi ai disabili o la manutenzione delle strade. Al momento, però, non solo i soldi da Roma non arrivano, ma devono fare il percorso inverso, per via del prelievo forzoso che lo Stato impone agli enti locali.
Cosa fare per sbloccare le somme statali? È noto, in realtà. La Sicilia deve dotarsi di una legge. Deve completare quella riforma che l’Ars avviò ormai più di due anni fa prima del resto d’Italia, e che fu strombazzata in tv come un trionfo. Salvo poi finire impantanata a lungo. E venire fuori tardiva (quando altrove in Italia ormai le Province erano state riformate), pasticciata e impugnata dallo Stato.
Non è colpa del destino cinico e baro, e nemmeno delle vacche magrissime che impone la crisi. È piuttosto un caso di disastrosa sciatteria politica che si ripercuote sulla pelle dei più deboli, dei ragazzi del centro padre Annibale di Francia e delle strutture analoghe che nel resto della Sicilia sono in ginocchio. Ora bisogna mettere una pezza, riformando la riforma e sostanzialmente adeguandola alla legge Delrio, cioè alle norme che valgono per il resto d’Italia. Poi, si spera, arriveranno i soldi.
L’Ars ha fatto la frittata, l’Ars deve rimediarla. Oggi Rosario Crocetta – che per quella riforma abortita si pavoneggiò a lungo nei salotti televisivi – ha finalmente convocato i commissari, che gli avevano scritto, tutti e nove, una lettera disperata tre settimane fa. Tra otto giorni i dipendenti delle Province domani in assmeblea – protesteremo davanti all’Ars. “E’ un problema da 150, 180 milioni di euro. Bisognerà chiedere a Roma di fare la sua parte. Ma potremo farlo con una legge sulle Province che sia finalmente approvata”, ammetteva nei giorni scorsi l’assessore all’Economia Alessandro Baccei. Sì, ma qualcuno spieghi adesso a quei bambini e ai loro genitori perché quella legge non è stata ancora approvata.