“Katia”, ha sussurrato più volte. Poi lunghi silenzi, la sofferenza, lo sguardo assente, le lacrime, la mano sugli occhi e ancora: “Katia”. Volodymir Havrlyuk, 44 anni, ucraino, è morto nel primo pomeriggio. Era piantonato in un letto dell’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, con i tagli profondi alla gola che si era inferto con lo stesso coltello con cui aveva ucciso la sua bambina, Katia.
Con un’ascia aveva invece ridotto a brandelli la sua giovane moglie, Marina, 30 anni, la la madre della sua piccola Katia
OMICIDIO DI LICOLA, LO CHOC DEI VICINI
I carabinieri e il magistrato avevano tentato di interrogare Volodymir Havrlyuk. Un tentativo di ricostruire la notte dell’orrore nella casetta sulla spiaggia di Licola. Un raptus, questa la spiegazione più fondata secondo gli inquirenti, i carabinieri della compagnia di Giugliano. «Liti sì, ce n’erano – raccontano i vicini – ma sostanzialmente era una famiglia tranquilla e amabile. Un gran lavoratore lui, una gran lavoratrice lei».
Eppure è lo stesso raptus che si è scatenato in tante famiglie, con tante donne e purtroppo bambini finiti nel lungo e ormai interminabile elenco di vittime. «Un guaio, un grande guaio ho fatto. Mia vita finita per sempre», ha sussurrato ai carabinieri. Le stesse parole che aveva detto a Ciro Tammaro, il vivaista suo datore di lavoro a cui per primo ha confessato ieri mattina l’orribile strage.
Tammaro era andato a cercarlo a casa non riuscendo a spiegarsi il ritardo di un dipendente sempre puntuale sul luogo di lavoro. Volodymir aveva aperto la porta mostrandosi insanguinato e aveva esordito: «Ho fatto un guaio grande». Tammaro ha guardato oltre la porta, ha visto il sangue a terra e sul letto, i segni dei corpi martoriati. E’ scappato fuori dal viale, ha telefonato ai carabinieri.
Ma che cosa è successo nel cuore della notte in quella casetta di Licola? L’operaio ucraino porta ora con se l’atroce verità. Nessuno potrà mai più spiegare come e perché si scatenata la follia. Sarà invece l’esame dei corpi martoriati a svelare i dettagli. Lei ripetutamente colpita con l’ascia sul letto. A terra la bambina, finita con il coltello.
Lo stesso utilizzato dall’operaio ucraino per togliersi la vita, infliggendosi una sofferenza durata ore, dal mattino alle 16,30. Resta l’immagine di Katia, angelo biondo di 4 anni, sordomuta, operata quattro giorni fa nello stesso ospedale dove il padre è morto e dove nei prossimi giorni doveva subire un nuovo intervento. E si coprono di orrore e sangue quei volti che appaiono nelle immagini felici di una famiglia cancellata per sempre.
(hanno collaborato Emiliana Avellino, Cristina Liguori e Nello Mazzone)