“Io sordomuta con tumore, umiliata e offesa dai medici dell’ASL”

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Carla e Maurizio sono moglie e marito, sordomuti dalla nascita. Navigano nel silenzio da oltre quarant’anni.

L’equipaggio sono loro due, soli. Che insieme formano più di un tandem: il porto sicuro uno dell’altra. Il salvagente e il timone, il sole e l’orizzonte. Lo scoglio che argina il mare, dove, per stare a galla, tocca aggrapparsi alle labbra della gente come a scialuppe d’occasione. 70 mila i sordomuti prelinguali in Italia. La loro lingua ufficiale non è l’italiano ma l’immaginazione. Una condizione che inizia come handicap, e poi miracolosamente sviluppa vista, tatto e anima. Sensi di cui difettano i medici legali di questa storia, appartenenti alla Commissione ASL Roma/E, i cui nomi non scriviamo per misericordia. Rappresentano la previdenza e invece si rivelano pescecani nel mare di Carla e Maurizio, a spese e danno dello Stato sociale: quello che gli inglesi chiamano Welfare e la gente, che non perde la bussola, umanità.

Medici incaricati dall’INPS, dunque, che dovevano visitare Carla per un tumore al seno, che a luglio l’aveva costretta ad un intervento chirurgico. Carla inizia la chemioterapia e Maurizio ha bisogno dei benefici della legge 104 per poter assistere la moglie nelle cure e assentarsi dal lavoro. Si rivolgono a un patronato. La gestione della pratica non è facile, perché loro parlano l’immaginazione, chi li accoglie soltanto l’italiano. Ma c’è collaborazione, e un bellissimo servizio (un App di nome LIS), che mette a disposizione interpreti specializzati in lingua dei segni, pronti, a chiamata di chi ne ha bisogno, a tradurre il silenzio e arginare il mare. Un piccolo miracolo nell’inefficienza di Roma Capitale. Ma quando i coniugi arrivano davanti ai medici dell’ASL, a Lungotevere della Vittoria, trovano “gli squali”, le anime sorde, il vero handicap dell’uomo e delle istituzioni. Untori di disumanità. “Mi hanno fatta sentire un animale” racconta Carla, col linguaggio dei segni, tornando quasi in lacrime al patronato. “Non potevo immaginare una cosa del genere: erano infastiditi perché non riuscivamo a capirli e a farci capire.”

“C’erano problemi con dei documenti che dovevamo presentare” prosegue la testimonianza “e io avevo chiamato l’interprete LIS, affinché ci agevolasse nella comunicazione. Un ausilio che nessuno rifiuta, mentre la commissione si dimostrava disinteressata e innervosita dalla presenza in video dell’interprete, così dovetti chiudere lo smartphone.

Continuavano a parlarci e parlarsi sopra con nervosismo e modi bruschi, stizziti perché non comprendevamo ciò che volevano chiederci. Sembrava volessero costringerci a udire, usandoci toni alterati e bruschi, come se la maleducazione potesse donarci l’udito e la parola. Alla fine, umiliati e frustrati, lasciammo la seduta e Maurizio tese educatamente la mano in segno di saluto, ma loro la rifiutarono invitandolo a uscire sprezzantemente dalla stanza. Ci hanno fatto sentire come animali”.

Il patronato della donna adesso ha incaricato un legale per vagliare l’ipotesi di reato contro malati e categorie fragili (art. 61 del codice penale), ed eventuale esposto alla Procura. Nel caso di maltrattamento da parte di sanitari, il codice prevede l’aggravante. Intanto sull’episodio è intervenuto Fabrizio Santori, consigliere della Regione Lazio di Fratelli d’Italia che ha segnalato il caso agli enti di competenza. (L’UNICO)

riccardo.corsetto@gmail.com

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