La Chiesa italiana e le persone disabili

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Un quarto di secolo per cambiare passo. È il tempo che la Chiesa italiana si è data per superare vecchi stereotipi e convinzioni, aprendosi finalmente all’inclusione delle persone disabili. Lo racconta suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale Cei: “I supporti vanno benissimo, abbattere le barriere architettoniche è importante, ma se non c’è un cambio di prospettiva resta un rapporto dall’alto verso il basso”.

di Riccardo Benotti

suor Veronica Amata Donatello
suor Veronica Amata Donatello

L’inclusione nella vita comunitaria e la nuova liturgia delle differenze: “Le persone disabili non sono separate ma fanno parte del popolo di Dio. Mettere l’accento sull’essere speciali, non aiuta a includere ma a ghettizzare”. L’incontro con Papa Francesco: “Un dono e un ringraziamento per la Chiesa italiana”

Un quarto di secolo per cambiare passo. È il tempo che la Chiesa italiana si è data per superare vecchi stereotipi e convinzioni, aprendosi finalmente all’inclusione delle persone disabili. Sembra ormai un’epoca remota quella in cui le imperfezioni erano attribuite, dal “Malleus maleficarum”, a rapporti con il demonio o l’integrità del corpo era vista come segno della rettitudine dell’anima. E se, fino a non tanti anni addietro, si parlava ancora di “handicappati” o “infelici”, adesso anche il linguaggio si è ripulito. A farsi spazio, talvolta a fatica, è l’idea della persona nella sua interezza. “Nessuno può essere indentificato con il proprio limite né con la propria disabilità, essere persona ci accomuna come cristiani”, precisa suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale Cei. Allegra e operosa, suor Veronica si spende senza misura per una Chiesa inclusiva. In occasione del venticinquesimo del Settore, è lei che ha coordinato l’organizzazione del convegno “… e tu mangerai sempre alla mia tavola” (2 Sam 9,1-13) che si terrà a Roma l’11 giugno nell’Aula Paolo VI. I partecipanti saranno anche ricevuti in udienza da Papa Francesco: “È un dono e un ringraziamento per la Chiesa italiana”.

Buone prassi. All’incontro, che si aprirà con un momento di preghiera inclusiva cantata con la lingua dei segni dalle persone sorde e animata da una danza eseguita da ragazzi con sindrome di Down, saranno presentate dieci testimonianze di buone prassi. “Al nostro appello hanno risposto oltre 110 diocesi, che si sono impegnate tanto in questi anni. La catechesi delle persone disabili non si occupa in prevalenza dell’iniziazione cristiana – spiega suor Veronica -, ma accompagna la Chiesa e le comunità nella vita quotidiana. È il caso di un corso per fidanzati, della cui équipe fa parte una coppia con disabilità. Lo slogan è: ‘Non sono venuto a portarti sfiga, ma a lanciarti una sfida’”.

Tra le testimonianze, l’esperienza portata avanti nella parrocchia Santi Martiri dell’Uganda a Roma: “È la realtà parrocchiale più inclusiva che conosca. Opera contro la cultura dello scarto – prosegue suor Veronica -, accoglie chi non viene accettato. Il parroco ha lavorato tanto sul pregiudizio. Adesso arrivano migranti, poveri, persone con disagio. La prospettiva familiare è la cosa bella”.

E così è facile trovare a messa un papà e una mamma che partecipano alla celebrazione, mentre il figlio con qualche difficoltà gioca con i compagni. Una parrocchia che ha fatto spazio e si è messa in discussione, in cui l’offerta dei doni all’altare avviene in più modalità e la preghiera dei fedeli è letta da bambini con disturbi dello spettro autistico attraverso i simboli comunicativi: “Ormai è il gusto della normalità”, chiosa la responsabile.

Liturgia delle differenze. Il Vangelo è per tutti, il Signore è per tutti. Nella Bibbia, ogni volta che Gesù sana una persona, la restituisce anche alla comunità. Per questo è fondamentale lavorare sul pregiudizio: “I supporti vanno benissimo, abbattere le barriere architettoniche è importante, ma se non c’è un cambio di prospettiva resta un rapporto dall’alto verso il basso”. C’è poi la disabilità cognitiva, che spaventa ancora di più: “Sono questioni che interrogano, dal sacerdote all’operatore pastorale. Il nostro compito è fornire risposte adeguate, da condividere con chi ne ha bisogno. Che sia un parroco, una religiosa o un genitore”. Ed è soprattutto sulle esigenze della famiglia che la Chiesa italiana è sintonizzata:

“Nella vita può arrivare la nascita di un figlio disabile o di una malattia. Se non si è preparati, il terremoto che vive la coppia è sconvolgente”.

L’Ufficio catechistico sta lavorando anche sul versante della liturgia, d’intesa con il competente Ufficio Cei, perché sia inclusiva e sappia tenere conto delle differenze: “Se la liturgia non riesce a coglierle, è un peccato. La liturgia è l’elemento che rimane nel tempo, dunque deve essere partecipativa”.

Ministerialità. Se lo Stato italiano ha promulgato la prima legge in favore delle persone disabili nel 1971, la Chiesa è arrivata prima. Suor Veronica non nasconde una certa soddisfazione: “Abbiamo anticipato i tempi, negli anni Settanta era già stato prodotto un documento. Poi la prassi è stata più lenta, ma oggi siamo giunti a un buon punto”. All’interno degli ultimi Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, ad esempio, la persona con disabilità è citata in ogni sezione:

“Le persone disabili non sono separate ma fanno parte del popolo di Dio. In questi anni abbiamo cercato di offrire indicazioni chiare e strumenti efficaci. Una grande lotta è stata alla specialità. Mettere l’accento sull’essere speciali, non aiuta a includere ma a ghettizzare”.

Di strada da fare, invece, ne resta ancora tanta sul fronte dell’accesso al ministero sacerdotale o alla vita consacrata da parte delle persone disabili. Sono ancora rari i casi in Italia, tanto da essere un’eccezione: “Dobbiamo avere il coraggio di fare un passo in avanti, permettere che la persona con disabilità possa scoprire il suo posto nella Chiesa. Molti la risolvono in maniera facile: ‘Che preghino!’. Ma perché devono pregare solo le persone disabili? Ognuno è chiamato a testimoniare il suo essere cristiano, non solo pregando”. Nessun credente di prima o seconda categoria. D’altronde, eccetto i casi di apparente discriminazione spesso dovuti all’ignoranza, le diocesi italiane sono in prima linea: “Ho incontrato tanti vescovi con una sensibilità sorprendente. Non c’è il vuoto, ma un movimento in continuo progredire”.

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