
Cioè invasa dal turismo di massa oltre le proprie possibilità: ci sta provando
di Matteo Castellucci
In questo punto del fiordo, in inverno, ci si arriva solo con la motoslitta. Sono quaranta minuti da Ilulissat, la città a nord del circolo polare artico più turistica della Groenlandia. È famosa e sempre più visitata per gli iceberg che si staccano dal ghiacciaio Sermeq Kujalleq: ne produce un decimo di tutti quelli dell’isola, creando un paesaggio strabiliante. Da qui in poi ci si sposta solo sulle slitte trainate dai cani, che trasportano soprattutto chi va a pescare sul ghiaccio. Trent’anni fa a Ilulissat c’erano 10mila cani; oggi neppure un terzo perché la pesca è diminuita, pur restando la più grande industria locale.

Cani da slitta sul fiordo di Ilulissat, il 14 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
Nel frattempo è arrivato il turismo. Il governo lo considera un modo per finanziarsi se e quando diventerà indipendente dal Regno di Danimarca: la Groenlandia infatti ne fa ancora parte, seppure con larghe autonomie, e metà del suo bilancio dipende dai fondi danesi. Il turismo è anche un fenomeno da gestire in un posto dove non ce n’è mai stato così tanto, e dov’è probabile che ce ne sarà sempre di più. Il rischio è che si ripeta quel che è successo in Islanda: un impetuoso sviluppo turistico in un paese che non era attrezzato per gestirlo. Il governo groenlandese ha investito più di 655 milioni di euro per potenziare gli aeroporti del paese.
Entro il 2026 saranno completati i lavori di ampliamento dell’aeroporto qui a Ilulissat, dove potranno atterrare i voli intercontinentali dall’Europa e dal Nordamerica. Nell’aeroporto della capitale Nuuk sono finiti in autunno e quest’estate inizieranno i collegamenti giornalieri con gli Stati Uniti. Prima, per arrivare a Nuuk, si volava soprattutto dall’Islanda e bisognava fare uno scalo interno, a Kangerlussuaq, mentre adesso basta un solo volo. Raggiungere la Groenlandia sarà quindi più facile e più economico.
Nel 2023 erano arrivati circa 141mila turisti, di cui meno della metà in aereo: con le nuove tratte si stima che questi raddoppieranno e supereranno quelli arrivati con le crociere, il mezzo più utilizzato finora.
Il turismo delle crociere era cresciuto enormemente dopo gli anni della pandemia e aveva già messo in difficoltà posti come Ilulissat, che ha una popolazione di circa 4.600 abitanti. «Quando arrivano due navi con migliaia di passeggeri ciascuna finisce che i turisti sono più di noi», racconta Pilu Magnussen, che gestisce uno degli otto tour operator locali, che si sono associati per farsi sentire di più.

Ilulissat, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)

Veduta di Ilulissat dai rilievi sul fiordo, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
Alcuni giorni dell’estate scorsa al largo di Ilulissat sostavano anche quattro navi da crociera contemporaneamente. Il porto non è in grado di ospitare navi così grandi e così i passeggeri vengono accompagnati a terra con gommoni e barche direttamente dalle compagnie: in questo modo controllare i flussi in entrata è praticamente impossibile.
«Ci ritroviamo all’improvviso con la popolazione raddoppiata», dice Aqqalu Jerimiassen, a lungo vicesindaco di Ilulissat e ora leader del partito unionista Atassut. Secondo lui l’affluenza di turisti ha rovinato la zona, patrimonio UNESCO, da dove si ammirano gli iceberg: «Un tempo era tutta verde, ma ci va così tanta gente tutta insieme che è diventata una distesa di sabbia» (quando il Post ci è stato, a metà marzo, era ricoperta di neve).

Il centro culturale Isfjordscenter di Ilulissat, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)

La passeggiata verso la zona panoramica, patrimonio UNESCO, da cui si ammirano gli iceberg, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
Magnussen e Jerimiassen si lamentano anche della «concorrenza sleale» degli operatori danesi, che aprono filiali solo d’estate e si prendono la fetta maggiore del mercato. Magnussen dice che «stanno qui due mesi e mezzo, guadagnano tutto, poi tornano a casa», portandosi via i profitti invece di reinvestirli a Ilulissat.
Gli operatori stranieri hanno un approccio meno accorto di quelli del posto, che provano a proteggere le tradizioni come la pesca e a incentivare un turismo che le valorizzi. I tour di Magnussen cercano di coinvolgere la comunità locale: per esempio gli alunni delle scuole traducono in inglese i racconti degli anziani. Il suo gruppo sta tentando di convincere le compagnie di crociere a rivolgersi a loro, anziché ai danesi.

Personale di Royal Greenland e Halibut Greenland ritira il pesce sul fiordo, il 14 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
I turisti hanno senz’altro portato ricchezza: comprano souvenir, fanno acquisti nei negozi, mangiano nei ristoranti e bar della città. In un posto come la Groenlandia, però, la loro presenza può creare problemi molto concreti.
Per esempio i supermercati hanno tempi di rifornimento più lenti di quelli a cui siamo abituati in Europa, perché dipendono dalle consegne via nave che risentono delle condizioni meteo. Può capitare che dopo il passaggio di una crociera non si trovino più alcuni prodotti, soprattutto quelli freschi come la frutta, già molto costosi, cosa che esaspera una parte della popolazione, anche se minoritaria.
Anche per questo il sindaco di Ilulissat, Palle Jeremiassen, chiede da tempo di mettere un limite giornaliero al numero di visitatori (non più di mille) o di navi, ma l’amministrazione locale non ha i poteri per farlo: dovrebbe intervenire il governo.
Al comune di Ilulissat pensano che l’aumento del turismo sarà comunque arginato da fattori contingenti, come la disponibilità di posti letto: la città ne ha circa 550 e ci sono piani per aumentarli di 300 nei prossimi anni. Costruire è in media quattro volte più costoso che in Danimarca, sia per il costo di trasporto dei materiali sia perché la manodopera è ridotta (la Groenlandia ha poco meno di 57mila abitanti). Insomma: l’offerta si può espandere fino a un certo punto, e fino a una certa velocità.
Per Bendt Kristiansen, dirigente del dipartimento Turismo del comune, c’è poi «un limite fisico», cioè geografico. Kristiansen indica su una mappa della costa le distanze tra i centri abitati: decine o centinaia di chilometri, dove ci si può spostare solo in barca o con voli interni, pagando molto. Anche per questo in Italia la Groenlandia «non è così popolare. È vista molto come una meta costosa e complicata, ancora di nicchia, e secondo me lo rimarrà per molti anni», spiega Nicolò Balini, il più noto youtuber italiano di viaggi che è anche un tour operator.

Due dei principali alberghi di Ilulissat, il 15 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
Il piano del comune e del governo è «avere più turismo di qualità e non più turismo di massa», dice Asbjørn Bargsteen, consulente per il Turismo di Ilulissat: cioè il contrario di quel che è successo in Islanda. Al momento i numeri non sono paragonabili: l’Islanda ha circa 2,2 milioni di turisti all’anno contro i 150mila della Groenlandia, ma vanno messi in proporzione con l’esigua popolazione dell’isola. «Siamo così pochi che “troppi turisti” potrebbero essere molti meno di quanti, per esempio, lo siano a Barcellona», riflette Bargsteen. Secondo lui, escludendo le crociere, a Ilulissat arrivano ogni anno circa 35mila turisti: «Già 50mila o 60mila potrebbero essere troppi, ancora non lo sappiamo. C’è il rischio che gli abitanti non si sentano più a casa nella loro stessa città».
Kristiansen fa l’esempio degli insediamenti disabitati dove molti groenlandesi tornano nel weekend per rilassarsi, ma in alcuni non è più possibile da quando ci sono state costruite case per turisti. Due dei più caratteristici, Ilimanaq e Rodebay, «sono stati monopolizzati» dai tour operator danesi, che hanno costruito bed&breakfast e ristoranti, racconta Silverio Scivoli, che vive a Ilulissat dal 1980 e per 26 anni ci ha gestito un’agenzia turistica: «Se andiamo avanti così, la Groenlandia sarà come i Caraibi o le Seychelles: con un casino di turisti».

Un cartello sulla passeggiata nella zona patrimonio UNESCO, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)

Il punto panoramico con una delle viste migliori sul fiordo, il 13 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
Negli ultimi anni sono stati presi diversi provvedimenti per controllare il settore e tutelare gli operatori locali. Dal 2024 c’è una tassa di 50 corone danesi (6,7 euro) a passeggero per le crociere che passano dalle maggiori destinazioni turistiche. Questo gennaio è entrata in vigore una nuova legge che prescrive che in futuro possano aprire solo tour operator posseduti al 66 per cento da persone residenti in Groenlandia (c’è un periodo di transizione di due anni).
Con la stessa logica, è stata introdotta una licenza turistica di cui sarà necessario dotarsi entro il 2027: servirà per lavorare e verrà rilasciata solo a operatori registrati in Groenlandia e che ci paghino le tasse. C’è infine il progetto di mettere un biglietto d’ingresso di 10 euro per la zona panoramica del fiordo (quella patrimonio UNESCO). In città hanno anche aperto strutture con un modello di business alternativo, come l’hotel SØMA. La gestrice Marianne Laursen spiega che «tutti i ricavi vengono reinvestiti in progetti di welfare locali». Questo modello non profit, però, è un’eccezione.

Alberghi poco fuori dal centro di Ilulissat, il 15 marzo (Matteo Castellucci/il Post)
A Ilulissat la stagione turistica estiva fa già il tutto esaurito, sarà così anche la prossima estate e si sta allargando anche sugli altri mesi dell’anno. Un po’ il contrario del ghiacciaio, che negli ultimi decenni si è ritratto per via del surriscaldamento globale. La guida Kaali Lund Mathaeussen lo mostra spostando il dito sulla cartina appesa nella casetta per turisti in questa parte remota del fiordo di Ilulissat. Fuori dalla finestra le motoslitte della Royal Greenland e la Halibut Greenland, le due aziende più grandi, vengono a ritirare il pesce per portarlo in città.