Il quinto giorno di grosse proteste in Turchia

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(Chris McGrath/Getty Images)

Contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale di Erdogan: sono le più estese da quelle del parco Gezi e di piazza Taksim, nel 2013

Domenica decine di migliaia di persone si sono riunite per il quinto giorno consecutivo in molte città per protestare contro l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu. Imamoglu è il principale oppositore politico del presidente Recep Tayyip Erdogan, che governa da anni in maniera autoritaria: è stato arrestato con accuse di corruzione ritenute politicamente motivate. Le proteste sono le più estese da quelle del 2013, che furono le più importanti proteste di massa della storia turca recente, sempre contro Erdogan, che allora era primo ministro.

Le proteste si sono svolte in 55 delle 81 province che compongono la Turchia, quindi in oltre due terzi del paese. A Istanbul i manifestanti si sono riuniti di fronte al municipio, con striscioni e bandiere e urlando slogan, circondati da decine di agenti in tenuta antisommossa. Ci sono stati alcuni scontri a cui la polizia ha risposto con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma. Dall’inizio delle proteste sono state arrestate circa 700 persone.

Sempre domenica si sono tenute le primarie del partito di Imamoglu, il Partito popolare repubblicano (CHP, di centrosinistra e nazionalista), che servivano per scegliere il candidato alle presidenziali del 2028: Imamoglu era l’unico candidato, ma la votazione è stata comunque molto partecipata.

Le primarie sono state estese anche alle persone non iscritte al CHP, il cui voto ha avuto un significato perlopiù simbolico ed è servito a esprimere sostegno per Imamoglu. Secondo i dati diffusi dal partito hanno partecipato circa 15 milioni di persone, di cui solo 1,6 erano iscritte al partito (la Turchia ha 86 milioni di abitanti). Per ora i numeri non possono essere verificati in modo indipendente, ma se fossero confermati sarebbero un’ulteriore conferma del sostegno di cui gode Imamoglu tra la popolazione turca. L’arresto non impedisce a Imamoglu di candidarsi alle presidenziali e di essere eventualmente eletto, ma le cose cambierebbero se fosse condannato in un processo.

Imamoglu era stato arrestato mercoledì. Domenica un tribunale di Istanbul ha confermato la sua detenzione in carcere, e il ministero dell’Interno turco lo ha sospeso dal suo incarico di sindaco. Il giorno prima del suo arresto inoltre l’università di Istanbul aveva annullato la sua laurea, sostenendo che ci fossero delle irregolarità nel modo in cui l’aveva ottenuta: la Costituzione turca prevede che per diventare presidenti si debba possedere una laurea. Imamoglu ha fatto sapere che farà ricorso contro la decisione, considerata un altro pretesto per impedirgli di candidarsi alle presidenziali.

Imamoglu ha 53 anni, è sindaco di Istanbul dal 2019 ed era stato rieletto lo scorso anno: in entrambe le occasioni aveva superato un candidato conservatore sostenuto da Erdogan. È considerato uno dei pochi in grado di raccogliere voti dalle varie componenti dell’opposizione, comprese quelle conservatrici e laiche e la minoranza curda. Per questo da tempo è stato coinvolto in casi giudiziari ritenuti politicamente motivati dai suoi sostenitori, alcuni dei quali non ancora conclusi (in Turchia la magistratura non è indipendente).

Secondo le accuse per cui è stato arrestato, sarebbe a capo di un’organizzazione criminale colpevole di reati come appropriazione indebita, corruzione, frode aggravata, acquisizione illecita di dati personali e manipolazione di appalti pubblici. Imamoglu è inoltre accusato di legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (o PKK, l’organizzazione politica e paramilitare che a inizio marzo ha dichiarato il cessate il fuoco con lo stato turco): un pretesto che il governo turco ha usato spesso, anche recentemente, per la repressione contro i propri avversari politici.

Redazione Il Post

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