Sulla base di un accordo con il governo salvadoregno: sono accusati di far parte del gruppo criminale Tren de Aragua
Domenica gli Stati Uniti hanno espulso oltre duecento venezuelani accusati di appartenere al gruppo criminale Tren de Aragua: i voli che li trasportavano sono atterrati a El Salvador, dove i 238 venezuelani (e 23 presunti membri di un altro gruppo criminale, MS-13) sono stati presi in consegna dalle forze di sicurezza salvadoregne e trasferiti immediatamente nel carcere di massima sicurezza noto come CECOT (Centro di detenzione per il terrorismo). Le espulsioni sono avvenute nonostante un giudice federale statunitense avesse bloccato l’ordine esecutivo che le rendeva legalmente possibili, firmato sabato dal presidente Donald Trump. La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha detto che, al momento del blocco da parte del giudice, l’aereo con le persone espulse era già partito, anche se non è chiaro se fosse già atterrato a El Salvador.
Il trasferimento dei presunti criminali stranieri verso il paese dell’America centrale noto per la radicale repressione del crimine organizzato fa parte di un accordo firmato dal segretario di Stato statunitense Marco Rubio e dal governo salvadoregno del presidente Nayib Bukele. Lo stesso Bukele ha reso pubblico l’arrivo dei voli, con un video in cui i venezuelani venivano trasportati in catene, rasati e trasferiti in carcere su camionette militari. Bukele sui social ha commentato ironicamente la sentenza del giudice, scrivendo «Ops, troppo tardi» e ha scritto che gli Stati Uniti pagheranno una cifra «molto bassa per loro, ma alta per noi» per la detenzione. L’accordo ha al momento la durata di un anno, ma secondo Bukele è «rinnovabile».
Venerdì per rendere possibili le espulsioni di persone che «minacciano la sicurezza nazionale», ma non sono ancora state processate, Trump aveva firmato un ordine esecutivo che faceva riferimento a una legge del 1798, l’Alien Enemies Act: permette di superare le normali procedure legate all’immigrazione ed espellere i migranti. La legge era stata utilizzata solo tre volte nella storia statunitense, durante la guerra del 1812 e durante le due guerre mondiali. Sabato sera il giudice James Boasberg del distretto della Columbia (Washington DC), aveva sospeso l’ordine per 14 giorni, mettendone in dubbio la legalità.
Il carcere CECOT dove verranno detenuti i venezuelani espulsi si trova nel mezzo di un’estesa e disabitata campagna vicino a Tecoluca, circa 70 chilometri a sud dalla capitale San Salvador. I suoi otto edifici sono sorvegliati da 19 torri di controllo e la prigione nel suo insieme si estende per circa 230mila metri quadrati: può contenere fino a 40mila persone. È stato aperto nel 2023 e varie organizzazioni umanitarie hanno ripetutamente denunciato violazioni dei diritti umani all’interno del carcere.
I detenuti nel carcere CECOT a Tecoluca (El Salvador presidential press office via AP)
Dal 2022 Bukele a El Salvador ha dichiarato uno “stato di emergenza” relativo al crimine organizzato che ha portato a una campagna di incarcerazioni di massa: si ritiene che da allora siano state incarcerate oltre 75mila persone. Le forze di sicurezza possono arrestare chiunque sia sospettato di far parte di una banda criminale, anche in assenza di prove: possono bastare un tatuaggio o una denuncia anonima. È consueta la detenzione preventiva, anche prolungata, senza la formulazione di un capo d’accusa, mentre il governo ha accesso a tutte le comunicazioni private dei cittadini. In questo modo Bukele ha trasformato il paese con il più alto tasso di omicidi dell’America Latina in uno piuttosto sicuro. Fino al 2018 si registravano 53 omicidi ogni 100.000 persone, uno dei tassi più alti al mondo. Oggi siamo a 2,4 omicidi ogni 100.000 persone, uno dei più bassi della regione centroamericana.