Così tante che non sanno dove metterle: furono trafugate negli anni Settanta, e negli ultimi dieci anni sono state restituite al paese da musei e collezionisti
Nelle sale del Museo nazionale della Cambogia di Phnom Penh, la capitale del paese, ci sono centinaia di statue, così tante che è diventato difficile trovare lo spazio necessario per esporle. Furono trafugate durante il regime militare comunista dei Khmer Rossi, nella seconda metà degli anni Settanta, e negli ultimi dieci anni sono state restituite alla Cambogia dai musei occidentali e dai collezionisti privati che le avevano acquistate. In molti casi sono ancora imballate, e sono state sistemate momentaneamente nel cortile del museo in attesa di trovare una collocazione.
Il direttore Chhay Visoth ha detto al New York Times che trovare lo spazio necessario per esporle è una delle sue principali preoccupazioni. Il governo ha annunciato un piano per ampliare gli spazi del museo che, tra le altre cose, prevede di mettere a disposizione della struttura gli edifici della Royal University of Fine Arts, un ateneo specializzato in architettura e belle arti non distante dal Museo nazionale della Cambogia, che nei prossimi mesi sposterà la sua sede
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di spostare le statue dal museo per riportarle nei luoghi da cui furono originariamente saccheggiate, tra cui i templi di Koh Ker, nel nord del paese.
(AP Photo/Heng Sinith)
Le statue risalgono al periodo di massima espansione dell’Impero Khmer, il popolo che fino al Quindicesimo secolo governò nei territori dell’attuale Cambogia e in buona parte del Vietnam e della Thailandia. La cultura dei Khmer era stata profondamente influenzata dall’induismo, che ispirò sia la sua religione che la sua arte, soprattutto nella realizzazione delle statue degli dei, scolpite in pietra o fatte di bronzo.
Generalmente venivano prelevate dai siti in cui si trovavano da gruppi di predoni, che poi le passavano a trafficanti di opere d’arte che a loro volta le rivendevano all’estero; a volte venivano spaccate in parti più piccole per facilitarne il trasporto. A rendere possibile questo corposo trafugamento fu soprattutto Douglas Latchford, un imprenditore britannico che viveva in Thailandia morto nel 2020 a 88 anni, prima di poter essere processato, e che le vendette a ricchi collezionisti e importanti musei occidentali, come per esempio il Metropolitan Museum of Art di New York.
(AP Photo/Heng Sinith)
Sono state riportate nel paese grazie agli sforzi diplomatici del governo cambogiano, che ha attribuito una certa importanza al rimpatrio di queste statue. La sottrazione indiscriminata di cui furono oggetto è considerata infatti un ulteriore simbolo dei crimini commessi dal regime dei Khmer Rossi, che tra il 1975 e il 1979 provocò migrazioni forzate, esecuzioni sommarie e, in tutto, quasi due milioni di morti.
(AP Photo/Heng Sinith)
Visoth ha detto che, oltre a trovare lo spazio per esporle, un altro obiettivo del museo sarà organizzare percorsi espositivi adatti ai visitatori cambogiani che attribuiscono a quelle statue un significato religioso, concependole non tanto come delle opere d’arte in senso stretto, ma come delle divinità che custodiscono le anime dei loro antenati.
Il museo ha dovuto adattarsi alle esigenze di questo tipo di visitatori: per esempio Visoth ha spiegato che, benché il regolamento del museo in teoria non lo permetterebbe, spesso consente ai visitatori di lasciare dei fiori vicino alle statue, un po’ come se si trovassero in un tempio.
(AP Photo/Heng Sinith)
Un altro problema riguarda la scarsa conoscenza dei reperti: dato che le statue sono rimaste all’estero per molti anni e il personale del museo è piuttosto esiguo, non è ancora stato possibile corredarle con le giuste informazioni. Di conseguenza, chi visita il museo spesso si limita più che altro a osservarle, senza imparare nulla. Inoltre, secondo alcuni funzionari del ministero della Cultura, alcune statue hanno una provenienza poco chiara e potrebbero essere dei falsi.