A Santiago del Cile i quartieri dei ricchi sono verso le montagne

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Santiago, Cile (REUTERS/Ivan Alvarado)

Le disuguaglianze nella capitale cilena sono così profonde che si parla di «segregazione sociale urbana»: c’entra la dittatura e una struttura politica che non si riesce a cambiare

La casa di Gabriel Boric, giovane presidente di sinistra del Cile, è un edificio bianco a due piani in una piccola via del quartiere Yungay: due case più in là ci sono uno dei molti murales che colorano il barrio (il quartiere) e due transenne mobili con cui la polizia chiude l’accesso alla strada, permesso solo ai residenti.

Yungay è un quartiere storico del centro di Santiago, decaduto durante il Novecento e alle prese negli ultimi vent’anni con complessi tentativi di rinascita, fra molte gallerie d’arte, un certo numero di bar alla moda e qualche problema di criminalità. Quando Boric decise di vivere lì, la sua fu una scelta molto inconsueta e simbolicamente radicale. A Santiago infatti le élite, ma anche semplicemente i benestanti, difficilmente abitano in quartieri che non siano Las Condes, Vitacura o Providencia: sono le zone ricche della parte nord est della città, quelle più vicine alle montagne.

Lì c’è tutta la classe dirigente cilena, il tenore di vita è molto alto e ci sono anche la maggior parte dei posti di lavoro e le sedi delle maggiori aziende del paese.

Quella bianca è la casa di Gabriel Boric a Santiago (Valerio Clari/il Post)

A Santiago i quartieri non sono solo quartieri, ma sono amministrativamente dei comuni, con parziale indipendenza economica e larga autonomia decisionale: i sindaci che li governano sono persone molto note nella politica cilena.

Durante questo fine settimana, il 26 e 27 ottobre, in Cile si vota per eleggere tutti i sindaci dei circa 350 comuni in cui è diviso il paese, i consigli comunali e i governatori regionali. Sono elezioni che possono avere un peso politico nazionale importante, anche in vista delle presidenziali del novembre 2025, ma che avranno effetti soprattutto in ambito locale. I poteri dei comuni sono ampi e questo contribuisce alle grandi disparità sociali fra varie zone della stessa città, oltre che fra varie aree del paese.

In molte città sudamericane queste differenze sono radicali: a Santiago la diseguaglianza è ancora più netta che altrove ed è stabile da quasi cinquant’anni. La separazione fra diverse aree è spesso quasi invalicabile. Chi vive nei quartieri ricchi difficilmente esce da lì e nemmeno incontra chi vive in quelli poveri. Chi abita nella zona sud e ovest deve spesso fare lunghi viaggi per arrivare al luogo di lavoro e adattarsi a disparità non solo economiche, ma che si ripropongono in ogni attività della vita: dall’istruzione alla sanità, dalla disponibilità di servizi al modo in cui si viene trattati.

La mobilità sociale è praticamente azzerata e studiosi e persone comuni tendono a ripetere spesso la stessa frase: «Il tuo futuro in Cile viene definito da dove nasci».

Giovanni Vecchio è professore e vicedirettore del corso di dottorato dell’Istituto di Studi Urbani e Territoriali dell’Universidad Catolica del Cile. Dice: «Rispetto ad altre città del continente la differenza è che a Santiago la diseguaglianza è un risultato voluto, ottenuto con varie riforme e decisioni prese durante il periodo della dittatura». Fa riferimento alla dittatura instaurata in Cile dopo il colpo di stato contro Salvador Allende nel 1973 e proseguita con il regime di Augusto Pinochet fino al 1990.

Una vista sul quartiere Providencia, fra il centro e la zona nord est (Valerio Clari/il Post)

L’area metropolitana di Santiago ha oggi circa 8,5 milioni di abitanti, sui 20 totali del Cile. Cento anni fa superava di poco i 500mila abitanti, ma nei decenni successivi iniziò una crescita veloce e costante, causata soprattutto dal movimento delle persone più povere dalle campagne alla capitale (oggi circa il 90 per cento della popolazione cilena vive in aree urbane).

I nuovi arrivati in città si stabilirono in insediamenti informali, vicino alle zone dove abitavano le classi più agiate, perché spesso lavoravano nelle loro case. Questi insediamenti, poco più che accampamenti con baracche costruite autonomamente con materiali di recupero, rendevano i quartieri meno coesi e socialmente unitari. Erano anche malsani e privi dei servizi essenziali, nonché degli allacciamenti alla rete elettrica, idrica e fognaria.

A partire dal 1950 vari governi tentarono di renderli meno “informali” e durante la presidenza del comunista Salvador Allende cominciarono vari progetti di edilizia popolare, nei quartieri centrali ma anche a Las Condes, il barrio più ricco ed elitario. In quest’ultimo, fra il 1971 e il 1972, Allende decise la costruzione di 27 edifici da oltre 1000 appartamenti, conosciuti poi come Villa San Luis, in mezzo alla zona delle residenze più ricche, con l’intento di mettere fine alla «segregazione sociale urbana».

L’area di aziende e grattacieli, che a Santiago chiamano Sanhattan (Valerio Clari/il Post)

A partire dal 1973, dopo il colpo di stato militare, i progetti di edilizia popolare in varie parti della città vennero interrotti, mentre i nuovi palazzi di Villa San Luis furono requisiti dall’esercito, che spostò altrove migliaia di persone e destinò le case ai sottufficiali. Dopo la fine della dittatura quei palazzi furono abbandonati. Intorno a loro è cresciuto il quartiere degli uffici e dei grattacieli, che a Santiago chiamano Sanhattan. Oggi resistono due di quei 27 edifici popolari, nascosti dalle strutture di un cantiere: verranno presto distrutti anche loro, dopo essere stati protetti per alcuni anni come “monumenti nazionali” (status poi revocato).

Quello di Villa San Luis non fu l’unico sgombero: a partire dal 1979 il regime procedette alla rimozione di tutti gli insediamenti informali e al trasferimento forzato dei suoi abitanti. L’esercito arrivava con i camion e caricava le famiglie, portandole in zone molto periferiche, spesso molto lontane. In questi nuovi quartieri c’erano solo palazzi con piccoli appartamenti, ma nessun servizio. L’operazione aveva il fine principale di liberare aree nei quartieri benestanti per nuove residenze, ma anche quello di ridurre al minimo contatti e possibili tensioni sociali.

Si stima che con queste operazioni, che vennero definite “sradicamenti”, furono trasferite oltre 28mila famiglie fra il 1979 e il 1986.

Nello stesso periodo la svolta liberista data all’economia portò a spostare la competenza  sui servizi pubblici dallo stato ai comuni: da allora tocca a queste entità più piccole provvedere ai servizi di base come istruzione, sanità ed elettricità, con molta discrezionalità. L’intento era di far competere fra loro sul mercato le varie amministrazioni. Santiago già al tempo non era un’entità unica, ma era divisa in 15 comuni: in quegli anni divennero 32, e quelle divisioni sono rimaste fino ad oggi.

I diversi quartieri hanno amministrazioni diverse, regole diverse, servizi diversi: il sindaco nei comuni/quartieri più grossi si trova a gestire anche un numero importante di persone e negli ultimi anni nei quartieri di Santiago quel ruolo è diventato un passaggio importante verso incarichi di alto livello nel governo nazionale e verso la stessa candidatura a presidente.

Evelyn Matthei, di centrodestra, la favorita nei sondaggi per succedere a Boric nel novembre 2025, è stata fino a pochi giorni fa sindaca di Providencia, dove vivono 140mila persone ma dove ogni giorno arrivano più di un milione di persone per studiare o lavorare: il quartiere è sede di scuole private, università, uffici e aziende.

La mappa dei comuni di Santiago Osmar Valdebenito, (CC BY-SA 2.5, via Wikimedia Commons)

Sulle strade di Providencia, così come su quelle di Las Condes, si affacciano condomini circondati da grandi giardini, con spazi comuni interni e parcheggi per le voluminose auto. A Vitacura sono molto più frequenti le villette unifamiliari in stile nordamericano e non mancano le piscine. Le sedi delle università assomigliano a campus statunitensi, ci sono molti parchi molto curati, i negozi e i supermercati sono di alto livello, i ristoranti propongono specialità etniche, menù vegetariani e “pranzi da ufficio” a basso contenuto calorico.

Condomini nel quartiere di Vitacura (Valerio Clari/il Post)

Altrove, come nelle zone di Estación Central o Patronato (solo per fare due esempi) gli ampi marciapiedi sono occupati da centinaia di venditori ambulanti, alcuni con merce vera e propria, altri con materiale di scarto o di recupero. I supermercati sono per lo più discount, i ristoranti fast food. Si alternano in modo caotico case basse, attaccate le une alle altre e piuttosto malridotte, e “torri” suddivise in appartamenti da meno di 20 metri quadri. La densità abitativa è altissima.

Nei quartieri ancora più periferici, come La Pintana, nel sud della città, mancano anche le catene di fast food o i bancomat, perché le aziende non vogliono investire in zone complesse.

La divisione in comuni autonomi è come detto una delle cause delle enormi disparità fra le diverse zone della capitale. Ciascuno comunque ha bilancio e fondi propri e di fatto deve fare economicamente da sé. Esiste una sola misura redistributiva, il Fondo Común Municipal, in cui i quattro comuni più ricchi del Cile (Vitacura, Las Condes, Providencia e Santiago Centro, dove hanno sede e pagano le tasse anche le aziende che operano altrove) finanziano un fondo da cui attingono gli altri. La redistribuzione è ovviamente parziale e insufficiente, per cui nel bilancio del 2023 i fondi pubblici per ogni cittadino a disposizione di Vitacura erano oltre 1.100 euro, quelli di un quartiere popolare meno di 200.

Finiscono col dipendere dai comuni non solo tutti i servizi pubblici, ma anche la qualità di strade e parchi, l’efficacia della polizia locale, la presenza di un’offerta culturale. Dice Vecchio: «Anche le tangenziali che attraversano Santiago sono diverse in zone diverse: nei quartieri popolari sono state costruite a cielo aperto e spesso spezzano in due i quartieri, in quelli con più mezzi sono interrate, quasi non si vedono, sopra hanno dei parchi».

Las Condes nel 2020, durante l’epidemia da coronavirus (Marcelo Hernandez/Getty Images)

Tutti i grafici sulla città, qualsiasi sia l’argomento, sono simili, con una profonda spaccatura fra zone del nord est e il resto della città: le diseguaglianze riguardano non solo i livelli qualitativi di scuole, consultori e ospedali, ma anche i metri quadrati di giardini privati a disposizione o le temperature reali in estate: a Vitacura e Las Condes ci sono anche 6-7 gradi in meno, nelle giornate più calde, grazie all’abbondante vegetazione e a un’altitudine leggermente superiore.

Negli anni, dice Vecchio, ci sono stati pochi tentativi di ridurre queste differenze: «C’è qualche minimo esperimento, negli scorsi anni un sindaco di Las Condes provò a promuovere delle case popolari, ma fu fermato dal consiglio comunale. Di fatto l’ultimo vero tentativo di rendere meno omogenei i quartieri risale al governo di Salvador Allende».

La “piccola Caracas” di Estación Central (Valerio Clari/il Post)

In molti comuni della città metropolitana di Santiago non esiste un piano regolatore o, se esiste, regola pochissimi aspetti. È anche questa un’eredità della dittatura, in cui ogni intervento di pianificazione cittadina fu cancellato, perché considerato “un’alterazione artificiale” delle leggi di mercato: il modello iperliberista è sopravvissuto anche alla fine del regime e al ritorno della democrazia.

Quest’assenza di regole ha portato alla costruzione di edifici per massimizzare i profitti: sono nati quelli che vengono definiti “ghetti verticali”, strutture di 30 o 40 piani di altezza, con più di venti abitazioni per piano, metrature ridottissime, poca luce naturale, grandi problemi di convivenza e rumore: i più recenti hanno meno di dieci anni. I residenti raccontano che a costruire e gestire questi supercondomini sono società con sede altrove, spesso a Vitacura: regolano inizialmente ogni aspetto, anche in modo eccessivo (compreso il colore delle tende negli appartamenti), ma poi presto nascono problemi di gestione ben più gravi.

Oggi alcuni di questi edifici ospitano perlopiù gli immigrati arrivati recentemente, soprattutto dal Venezuela, tanto che un’area di Estación Central (dove si trova la stazione centrale) è definita la “piccola Caracas”.

Un negozio di alimentari nella “piccola Caracas” di Estación Central (Valerio Clari/il Post)

Case basse e manifesti elettorali nella “piccola Caracas” di Estación Central (Valerio Clari/il Post)

Un altro fattore di enormi disparità è quello dei trasporti: Santiago è una città che ha circa 40 chilometri di diametro. I posti di lavoro si concentrano per lo più lungo una direttrice che dal centro va verso nord est e quindi i quartieri più ricchi. Dalle altre zone gli spostamenti quotidiani possono essere molto lunghi: esiste una efficiente rete della metropolitana, ma non copre tutta la città. Gli spostamenti quotidiani in autobus da zone molto periferiche possono prendere anche 60-90 minuti e a volte sono necessari non solo per andare al lavoro, ma anche per usufruire di servizi di base.

Chi abita nei quartieri residenziali deve invece coprire distanze molto ridotte, passando non più di 15 minuti in metropolitana o in auto (il traffico è un problema relativo, perché le auto non sono così numerose).

Queste diseguaglianze sono evidenti e sempre meno tollerate: le ultime grandi proteste cilene, quelle del 2019, nacquero per una questione urbana, l’aumento dei prezzi della metro negli orari di punta, ed ebbero un iniziale sviluppo soprattutto a Santiago. Negli ultimi anni poi a questi problemi si è aggiunto un radicale aumento della criminalità, anche in questo caso con consistenti differenze fra le varie zone. La diminuzione della sicurezza viene comunque percepita come un problema impellente ovunque.

A Yungay, per esempio, più ci si allontana dalla casa del presidente Boric, dove c’è maggiore sorveglianza, più cresce l’insicurezza e la criminalità, dicono i residenti. Nelle zone più ricche l’allarme ha invece portato a un aumento delle misure di sicurezza e alla creazione di comunità sempre più isolate, che contribuiscono ad alimentare la segregazione sociale urbana.

Il tema della sicurezza e dei maggiori fondi da destinare alla polizia ha dominato la campagna elettorale in quasi tutti i comuni di Santiago, anche fra i candidati di sinistra. Si è detto favorevole all’uso dell’esercito contro le bande criminali anche Tomás Vodanovic, sindaco di Maipù (un quartiere popolare di Santiago) ed esponente molto popolare del Frente Amplio, la coalizione di partiti di sinistra ed estrema sinistra che sostiene il presidente Boric.

In città le grandi differenze si riflettono anche sul voto, con le zone orientali quasi sempre governate dalla destra e quelle più depresse dalla sinistra. Per la prima volta però quest’anno anche alle amministrative il voto sarà obbligatorio (pena una multa), e una maggiore affluenza di una fascia di popolazione meno attenta alle questioni politiche potrebbe influire sui risultati in un modo piuttosto imprevedibile.

Redazione IL POST
di Valerio Clari

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