Fu un corpo militare indipendente dell’esercito britannico, che combatté anche in Italia e che dopo la Seconda guerra mondiale aiutò i profughi a emigrare verso la Palestina
A Porta San Paolo, a Roma, durante il corteo per il 25 aprile la Brigata ebraica ha lanciato sassi contro i cronisti, e bombe carta e barattoli di cibo alle attiviste e agli attivisti pro Palestina del corteo, alludendo alla fame a cui è costretto il popolo palestinese nella Striscia di Gaza dopo sei mesi di bombardamenti e operazioni militari di Israele. A Milano, al passaggio dello striscione della Brigata ebraica in piazza Duomo, una decina di persone che la Questura ha definito come «un gruppo di giovani nordafricani esagitati» ha attaccato da fuori lo spezzone del corteo e un uomo della Brigata ebraica è stato lievemente ferito al braccio con un coltello. Nove persone, e tra loro anche alcuni minorenni, sono state alla fine identificate e denunciate per istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
La Brigata ebraica fu un corpo militare indipendente dell’esercito britannico, ossia non incorporato all’interno di unità preesistenti: aveva una propria bandiera e un proprio emblema ed era composto da circa 5mila ebrei della Palestina. Si formò nel 1944 e in Italia partecipò alle ultime fasi della Seconda guerra mondiale. Oggi la Brigata ebraica è una associazione senza scopo di lucro con sede a Milano che cura la memoria dell’opera e degli ideali di quella storica.
Quando iniziò la Prima guerra mondiale (1914–1918) parte del movimento sionista, che pretendeva la creazione di uno stato ebraico in Palestina, tentò prima di allearsi con l’Impero ottomano e poi, quando questo rifiutò, con l’Impero britannico che combatteva in Palestina proprio contro gli ottomani. Migliaia di ebrei da tutta Europa si arruolarono nell’esercito britannico dentro alla cosiddetta “Legione ebraica” che ebbe un ruolo limitato nella guerra, ma una certa importanza nella militarizzazione del movimento sionista.
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, il Regno Unito assunse il “mandato” (cioè il controllo) della Palestina e di altri territori del Medio Oriente. A quel punto l’Agenzia ebraica, l’organismo di coordinamento tra la comunità politica sionista e la potenza mandataria, offrì al governo britannico la piena collaborazione della comunità ebraica nella Palestina mandataria, cercando anche di creare una forza di combattimento ebraica separata all’interno dell’esercito britannico. La richiesta fu più volte respinta dal Regno Unito, il quale temeva che questa formazione potesse diventare la base della ribellione ebraica contro il dominio britannico. Ma nell’agosto del 1944 il primo ministro Winston Churchill accettò e nacque così formalmente la Brigata ebraica. Ne facevano parte, volontariamente, 5mila ebrei provenienti dai territori controllati a quel tempo dal Regno Unito e anche dall’Europa.
Dopo un primo periodo di addestramento ad Alessandria d’Egitto, nell’ottobre del 1944 la Brigata, con la propria bandiera azzurro-bianco e con la stella di David al centro, venne inviata sul fronte italiano e, dopo un ulteriore addestramento a Taranto e a Fiuggi, inquadrata nel X Corpo dell’VIII Armata Britannica.
La Brigata combatté dal 3 marzo del 1945 nelle zone dell’Appennino tosco-romagnolo: in provincia di Ravenna, a Rimini, Forlì, Faenza partecipando anche allo sfondamento della Linea Gotica sul fronte del fiume Senio. Il bilancio di 54 giorni di combattimenti fu di 51 morti. Come scrive il Centro studi nazionale Brigata ebraica, «la funzione della Brigata ebraica in Italia fu fondamentalmente di natura diversiva e si sostanziò in una azione di disturbo e di agganciamento del nemico. Secondo lo storico israeliano Yigal Allon, sebbene addestrata ad affrontare la guerra “su larga scala”, la Brigata ebraica fu di fatto impiegata in un settore statico del fronte».
Nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra la Brigata lavorò per supportare e assistere i profughi ebrei e gli orfani ospitati nei centri di raccolta e nei campi per rifugiati in tutta Italia. A Milano attivò un centro a Palazzo Erba Odescalchi, in via Unione 5, trasformandolo nel punto di convergenza dei profughi ebrei di tutta Europa e in uno snodo di passaggio nel viaggio verso la Palestina, fra il confine con l’Austria e i porti della Liguria e del Sud Italia. Nel maggio del 1945 la Brigata fu trasferita sul confine di Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia, dove avvennero i primi contatti con i profughi reduci dai campi di sterminio. Sempre lì organizzarono delle staffette verso i principali porti italiani, fra cui Napoli e La Spezia, per gli ebrei che volevano emigrare clandestinamente in Palestina, fornendo loro documenti falsi e divise militari per eludere i controlli.
A causa di questa loro attività l’unità fu trasferita in Belgio e nei Paesi Bassi e infine, nel luglio del 1946, fu smobilitata per ordine del governo britannico. Una parte dei componenti della Brigata, non rientrati nella Palestina mandataria, continuò comunque a operare in Europa e in Italia per favorire l’ingresso dei profughi in quello che di lì a poco sarebbe divenuto lo Stato d’Israele. Si stima che il contributo della Brigata ebraica a questa migrazione abbia interessato tra le 15mila e le 22mila persone.
Parallelamente a questa attività, una formazione interna e clandestina della Brigata si dedicò a identificare e a uccidere i nazisti fuggitivi e a inviare armi all’Haganah, il nome dato a un’organizzazione paramilitare ebraica in Palestina durante il mandato britannico e che fu poi integrata nelle forze armate dello Stato d’Israele.
Molti tra i circa cinquemila soldati che fecero parte della Brigata ebraica, comunque, tornarono o si trasferirono in Palestina portando con sé l’esperienza militare acquisita e impiegandola durante quella che gli israeliani chiamano la Guerra di Indipendenza, combattuta contro una coalizione di stati arabi solidali con la causa palestinese. Alla fine della guerra, nel luglio del 1949, Israele controllava il 72 per cento del territorio della Palestina contro il 56 per cento stabilito dalla risoluzione 181 dell’ONU, che prevedeva un piano di ripartizione dei territori della Palestina tra ebrei e palestinesi. A quel punto circa 700mila palestinesi dei territori conquistati furono costretti a lasciare le loro case e a trasferirsi in campi profughi, nei paesi confinanti. Questo evento è chiamato dai palestinesi e dal mondo arabo “Nakba”, che significa “catastrofe” in arabo e che viene ricordata ogni anno con proteste e manifestazioni. Le centinaia di migliaia di palestinesi che ancora vivono in campi profughi e le condizioni del loro “diritto al ritorno” sono da sempre una delle questioni più complicate del conflitto israelo-palestinese.
Nel sito del Centro studi nazionale Brigata ebraica si dice che «l’esperienza militare conseguita dagli uomini della Brigata ebraica si rivelò estremamente formativa e fu determinante per le sorti della guerra di Indipendenza dello Stato di Israele, tant’è che furono proprio due reduci della campagna d’Italia, i brigadieri Mordechai Markleff e Haim Laskov, a ricoprire il ruolo di Capo di Stato Maggiore del neonato esercito nazionale, negli anni Cinquanta, mentre Aaron Remez, anch’egli reduce della Brigata ebraica, divenne il secondo comandante in capo dell’Aviazione israeliana». In Israele, tra i veterani della Brigata che combatterono sul territorio italiano, trentacinque di loro divennero poi generali.
Al di là del contributo alla guerra nella creazione dello Stato di Israele, come ha scritto lo storico Claudio Vercelli, «la milizia armata ebraica nella Palestina sotto il mandato britannico, era una parte integrante dell’edificazione di quella comunità politica che nel 1948 si sarebbe poi trasformata in Stato d’Israele». Il 3 ottobre del 2018 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito la Brigata ebraica della medaglia d’oro al valore militare per il suo contributo durante la Resistenza italiana.