In Corea del Sud le persone anziane sono stranamente povere

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Più della metà di chi ha almeno 75 anni vive sotto la soglia di povertà: c’entrano la storia del paese e un sistema pensionistico insufficiente

di Guido Alberto Casanova

La Corea del Sud è una delle economie più sviluppate del mondo, che negli ultimi anni ha vissuto un periodo di crescita economica sostenuta: il suo PIL nel 2024 dovrebbe aumentare del 2,2 per cento, secondo le stime ufficiali della Banca Mondiale. Ma nonostante questo, la sua popolazione più anziana è la più povera del mondo sviluppato: quattro anziani su dieci vivono sotto la soglia di povertà e questa proporzione aumenta con l’aumentare dell’età fino a toccare oltre la metà della fascia di popolazione più anziana.

Questa condizione, piuttosto peculiare per un paese sviluppato come la Corea del Sud, dipende anzitutto da un sistema pensionistico insufficiente, e in secondo luogo da specifiche condizioni storiche e sociali, che risalgono al periodo in cui in Corea governava una dittatura militare.

Nel rapporto annuale sullo stato del sistema pensionistico in 38 paesi sviluppati pubblicato lo scorso dicembre dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), le persone sudcoreane con più di 65 anni sono classificate come le più povere tra tutti i paesi membri per la quattordicesima volta consecutiva a partire dal 2009. Secondo i dati del rapporto, il 40,4 per cento dei sudcoreani con più di 65 anni ricade al di sotto della soglia di povertà relativa, definita come la percezione di un reddito inferiore alla metà del reddito medio nazionale. Per fare un paragone, in Italia sono il 10,3 per cento, negli Stati Uniti il 22,8 per cento e in Norvegia il 3,8 per cento.

A soffrire sono soprattutto i cittadini più anziani, quelli nella fascia sopra i 75 anni, tra i quali la povertà relativa arriva al 52 per cento, e le donne: tra le persone con più di 65 anni il 45,3 per cento delle donne vive in povertà, contro il 34 per cento degli uomini.

Questa condizione di povertà, che in molti casi rasenta l’indigenza, obbliga gli anziani a lavorare anche dopo aver raggiunto a 62 anni l’età minima per la pensione. È una condizione anche qui soprattutto femminile: l’età media di uscita effettiva dal mercato del lavoro delle donne è 67,4 anni contro i 65,4 degli uomini. Per molti il raggiungimento dell’età pensionabile rappresenta un traguardo poco significativo e tra i cittadini di 65-69 anni ancora il 50,9 per cento lavora.

Pensioni troppo basse
La causa principale di questa condizione di povertà tra le persone anziane è il sistema pensionistico. Le pensioni basse sono sia il motivo per cui molti lavoratori e molte lavoratrici cercano di ritardare quanto più possibile l’uscita dal mondo del lavoro, sia quello per cui dopo il pensionamento il loro reddito cala così bruscamente. Secondo l’agenzia statistica nazionale la pensione media percepita dai cittadini sudcoreani sopra i 65 anni sarebbe pari a 600.000 won al mese, cioè 415 euro al cambio attuale.

Per molti tuttavia i valori sono molto inferiori. Il sistema di previdenza sociale sudcoreano per gli anziani prevede una pensione sociale di 307.500 won al mese (pari a circa 213 euro), che però non può essere richiesta prima del compimento dei 65 anni.

Questi dati rendono quindi comprensibile come mai la spesa pubblica per le pensioni in Corea del Sud sia appena una frazione di quella degli altri paesi dell’OCSE. Nel 2022 la spesa per le pensioni sostenuta dal governo sudcoreano ammontava ad appena il 3,3 per cento del PIL a fronte di un dato medio del 7,7 per cento tra tutti i paesi OCSE.

La bassa spesa pubblica per le pensioni è una caratteristica politico-istituzionale lasciata in eredità dalla dittatura militare che governò la Corea tra gli anni ’60 e gli anni ’80. In quei decenni, per promuovere lo sviluppo industriale del paese, il governo autoritario sudcoreano limitò fortemente le spese sociali per concentrare la propria spesa sugli investimenti ritenuti produttivi: facendo affidamento su una diffusa cultura di stampo confuciano in cui i figli si prendevano cura dei loro genitori una volta divenuti anziani, la dittatura sudcoreana non si interessò mai a sviluppare un sistema pensionistico per i lavoratori e nemmeno la democratizzazione del paese è riuscita a rovesciare completamente questa prassi ormai consolidata nella cultura finanziaria del paese.

Il sistema pensionistico nazionale prevede, come in molti altri paesi, che durante i propri anni di attività lavorativa i cittadini sudcoreani versino allo stato una quota del proprio stipendio annuale sotto forma di contributi. Tuttavia il fondo pensioni pubblico è stato istituito solo nel 1988 e i contributi sono diventati obbligatori per tutti i lavoratori solo nel 1999, il che ha di fatto impedito a molti di quei lavoratori oggi in pensione di versare durante la propria carriera contributi sufficienti per garantirsi una pensione dignitosa durante la vecchiaia.

Se in un contesto sociale caratterizzato da una forte solidarietà familiare questa scelta poteva anche avere senso, i cambiamenti sociali e culturali avvenuti negli ultimi decenni nel senso di un maggior individualismo hanno lasciato una generazione di anziani senza le cure dei propri figli e senza un adeguato piano di previdenza sociale. Le stesse autorità pubbliche hanno esortato il governo a prendere provvedimenti contro le pensioni ritenute troppo basse per consentire uno stile di vita adeguato alle possibilità di un paese avanzato.

Con il rapido invecchiamento della popolazione però il problema rischia di assumere una dimensione ancora più grave per la Corea del Sud, che nonostante le minime spese sostenute dalla spesa pubblica potrebbe comunque veder implodere il proprio sistema pensionistico a causa del continuo aumento dei costi legato al declino demografico.

Negli ultimi anni i governi sudcoreani hanno cercato di trovare una soluzione a questo problema, con scarsi risultati. L’ex presidente progressista Moon Jae-in aveva accentuato l’equità del sistema pensionistico alzando le pensioni basilari da 50.000 a 300.000 won al mese. L’attuale governo guidato dal presidente conservatore Yoon Suk-yeol invece nei mesi scorsi ha proposto al parlamento una riforma del sistema pensionistico che dovrebbe aumentare la quota individuale di contributi da versare in modo tale da garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico per i prossimi 70 anni. Ma come dimostrato da alcuni sondaggi, l’opinione pubblica appare scettica soprattutto tra i più giovani e senza un forte consenso politico sembra difficile che il governo possa adottare una riforma radicale del sistema pensionistico.

Redazione Il Post

 

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