In Argentina i prezzi sono triplicati in un anno

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L’aumento è un problema storico del paese, e di recente si è aggravato per alcune decisioni del nuovo presidente Javier Milei

Giovedì sono stati pubblicati i dati argentini sull’inflazione di dicembre, ossia su quanto sono cresciuti i prezzi e il costo generale della vita. Rispetto a un anno prima, ossia a dicembre 2022, i prezzi sono risultati più alti del 211,4 per cento: significa che sono triplicati. Anche rispetto al mese precedente, ossia a novembre del 2023, l’aumento è stato significativo, cioè del 25,5 per cento. L’Argentina è in crisi da tempo e nel 2023 la popolazione ha dovuto fare i conti con l’aumento dei prezzi più alto di tutto il Sud America.

I dati di dicembre sono i peggiori dal 1991, quando l’Argentina stava uscendo da un gravissimo periodo di crisi e iperinflazione, come chiamano gli economisti una crescita dei prezzi molto fuori dalla norma. Sebbene l’inflazione fosse già molto alta nei mesi precedenti, l’ultimo aumento è in buona parte dovuto alla svalutazione del peso, la valuta argentina, deciso a metà dicembre dal governo del nuovo presidente Javier Milei, economista liberista di estrema destra che ha nei piani quella che definisce una «terapia shock» per l’economia del paese.

Era una conseguenza attesa e al momento dell’annuncio della misura il ministro dell’Economia argentino Luis Caputo aveva già anticipato che «per qualche mese staremo peggio di prima», ma anche che a suo dire «questa è la strada giusta».

Il peso è stato svalutato dal governo Milei del 50 per cento rispetto al dollaro: il tasso di cambio ufficiale è stato fissato a 800 pesos per 1 dollaro, contro i 360 precedenti. La conseguenza immediata di questa scelta è stata che le importazioni sono diventate più costose di prima, perché ci vogliono più pesos per acquistare merce straniera in dollari, in euro o in qualsiasi altra valuta. E siccome l’Argentina è un paese che importa molta della sua merce, tutto o quasi è diventato più caro, e il costo generale della vita è aumentato.

La decisione di Milei ha una sua logica economica. Per via delle precedenti difficoltà economiche dell’Argentina il peso è una valuta relativamente debole rispetto ad altre, per esempio quelle più forti con cui avviene la maggior parte degli scambi internazionali come il dollaro o l’euro. Dal 2022 il tasso di cambio era stato tenuto fisso a 360 pesos per 1 dollaro in modo da evitare un’eccessiva perdita del potere di acquisto della popolazione, che potenzialmente con un tasso di cambio stabilito dal mercato si sarebbe trovata a pagare molto di più le importazioni di beni stranieri.

Un tasso di cambio fissato per legge, nonostante le finalità sociali a breve termine, genera però distorsioni a lungo termine, perché non tiene conto del reale valore della moneta, che dipende da come e quanto viene usata nel mondo.

E il peso è una moneta che anche gli argentini fanno fatica a usare, proprio per le sue grandi oscillazioni di valore: il peso ormai vale talmente poco che le banche non sanno dove mettere le banconote di piccolo taglio, che nessuno vuole più. Per queste ragioni nella vita di tutti i giorni i cittadini usano molto anche i dollari. Gli argentini li reperiscono soprattutto al mercato nero dei cambi, dove viene scambiato il cosiddetto dolàr blue a un tasso di cambio ben maggiore e più realistico di quello ufficiale.

Il mercato clandestino dei cambi è molto attivo in Argentina ed è perfettamente accettato a livello pubblico, con tanto di quotazioni sui giornali. Le autorità tollerano l’esistenza delle cosiddette cuevas (letteralmente, grotte), locali dove si va per cambiare dollari o euro in pesos e viceversa. Per strada si viene spesso avvicinati da persone chiamate arbolitos (piccoli alberi in spagnolo), che indicano la strada per raggiungere una delle tante cuevas. Apparentemente si tratta di banchi di pegno o “compro oro”, ma in realtà lì avviene lo scambio di valute. Gli argentini oggi usano le cuevas per comprare dollari nella speranza di ottenere più pesos cambiandoli dopo solo qualche settimana.

La svalutazione fatta dal governo di Milei consente nel brevissimo termine di correggere in parte le distorsioni sul mercato dei cambi, avvicinando il cambio ufficiale a quello clandestino, che è più realistico: è circa di 1.100 pesos per 1 dollaro.

Secondo Milei con la correzione del tasso di cambio e l’aumento temporaneo dei prezzi l’economia si “raffredderà”, i consumi caleranno e tutte le dinamiche che portano all’aumento dei prezzi finiranno per interrompersi: è una scommessa sul medio termine. Il lato negativo di questa misura è che però nel breve termine il costo della vita aumenterà ancora, con enormi ricadute sociali su una popolazione già molto impoverita dall’inflazione: a dicembre sono aumentati soprattutto i prezzi di cibo e beni essenziali, che pesano di più sulla spesa di chi ha redditi più bassi. In Argentina vive sotto la soglia di povertà circa il 40 per cento degli abitanti.

Le conseguenze sul piano sociale potrebbero poi aggravarsi anche per il fatto che Milei ha iniziato un severo piano di riduzione della spesa pubblica e potrebbe impostare, secondo le sue promesse da campagna elettorale, un grosso smantellamento dello stato sociale. Le riforme economiche iniziate potrebbero dunque avere conseguenze ambivalenti: da un lato una qualche forma di raffreddamento dell’economia è necessaria per rimettere in sesto l’economia del paese, dall’altro questi interventi potrebbero peggiorare la condizione dei cittadini più poveri.

Gli argentini sono comunque abituati a vivere in condizioni di grande incertezza economica. Il problema del paese con l’inflazione ha origini lontane e ciclicamente si ripresenta. Questo perché ha una politica monetaria non indipendente e legata al potere politico: in passato e anche di recente, semplificando molto, la banca centrale argentina ha stampato denaro per finanziare le grosse politiche di spesa pubblica statali con cui i governi finanziavano gran parte dello stato sociale, tra sussidi e incentivi, senza però migliorare le molte inefficienze strutturali della propria economia.

Il risultato è una spesa e un debito pubblico senza limiti, ma anche una perdita di valore reale del denaro. È un tipo di politica monetaria che gran parte delle economie avanzate ha abbandonato proprio per questo motivo, e anche la ragione per cui Milei ha sempre detto, in modo evidentemente esagerato, di voler far «esplodere» la banca centrale argentina.

Questa affermazione è stata una delle più identitarie della campagna elettorale di Milei, che ha costruito gran parte del suo consenso con idee radicali e bizzarri, ma che in qualche modo hanno avuto presa su un elettorato assai provato dalla grave inflazione e dalla crisi economica. Oltre a cancellare i poteri della banca centrale Milei ha anche proposto di sostituire il peso con il dollaro statunitense.

Redazione Il Post

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