Storia di Raffaella Troili
La grande fuga dai Pronto soccorso continua. Se per gli studi medici arriva una boccata di ossigeno, i Dea, i reparti di emergenza piangono. Chi finisce la scuola di medicina generale corre, fugge, scappa verso i meno gravosi e ansiogeni studi medici.
Gli operatori del settore mettono sotto accusa la chiamata che avviene già durante il corso, per mettersi nella graduatoria e ottenere un incarico nella medicina generale, “viste le gravi carenze, fino a 800 iscritti possono dimettersi dal contratto ospedaliero e dai tre anni formativi…”. Il fuggi fuggi è inarrestabile, ora altri 30 hanno scelto la medicina di base. Il presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Roma, Antonio Magi, anche quest’estate ha commentato allarmato la cronica carenza di personale nei Pronto soccorso, stimando intorno a Ferragosto, che la mancanza di personale medico e non si attestasse su un -10%. Ad aggiungersi le nuove dimissioni di massa, le ferie e di contro un’aumento della richiesta specie da parte degli anziani intorno al 15%. «Bisogna incentivare i nostri professionisti a rimanere, anche con retribuzioni e premi, perché nei pronto soccorso si salvano le vite». Di fatto il fenomeno è palese. Chi lavora in pronto soccorso ma anche in altre specialità si licenzia, «non solo chi ha un contratto ospedaliero, anche chi entra nella formazione si dimette e questa fuga preoccupa – ammette un membro del direttivo del Simeu – Si cerca di fare il possibile, ma la qualità di vita, le responsabilità, sono troppe».
In Italia mancano 5mila medici di medicina d’urgenza, 450 nel Lazio. La battaglia per avere organici pieni diventa sempre più difficile. L’ultima speranza viene da un concorso bandito per 153 posti da medico da distribuire in numerose aziende, «le domande scadono il 7 settembre, speriamo si presentino in massa, che arrivino nuove leve. Confidiamo tanto in questo concorso, se va mezzo deserto è veramente pericoloso, va ripensato tutto, non sappiamo come potremo andare avanti». Le previsioni non sono ottimistiche, «finora non c’è stata una grande partecipazione».
Il fenomeno non è nuovo anche se durante la pandemia, i medici di famiglia sotto un’inaspettata pressione e un lavoro improvvisamente più imponente segnalarono il fatto che anche i giovani neo laureati preferivano per questioni economiche prestare servizio nei reparti covid piuttosto che andare a dar loro il cambio e un aiuto negli studi. Una coperta corta. Lavori entrambi difficili, eppure sfugge al rappresentante del sindacato che riunisce i primari di pronto soccorso: «Basta valutare il quoziente rischio/beneficio. Se i medici d’urgenza corrono a fare i medici di medicina generale e non esistono medici di medicina generale che vogliono andare in pronto soccorso, ci sarà un motivo».
TURNI IMPOSSIBILI
Il motivo è noto. Gli operatori dell’emergenza dicono di fuggire «perhé perché la vita è impossibile, tra tante ore di straordinari, tre weekend su quattro presenti, le ferie d’estate che spesso non sono più quelle previste dal contratto. Le condizioni di vita e di lavoro non sono adeguate al 2023, medici e infermieri lavorano in condizioni inaccettabili. Siamo contenti che arrivino nuovi medici di base, il problema è che non arrivano di nuovi da noi». Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario e segretario provinciale di Roma della Fimmg, Federazione italiana medici di famiglia replica: «Non è che poi si stanno meglio nel nostro lavoro, noi il turno non lo finiamo mai. Un lavoro completamente diverso, spesso partono in tromba e poi si ritrovano incastrati».