Ama, gatti morti tirati contro un dipendente dell’azienda dei rifiuti, l’audio: «Qui facciamo la guerra agli invalidi»

L'inchiesta: i lavoratori disabili sarebbero stati segregati anche per anni all'interno degli scantinati

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Gatti morti, aggressioni, minacce. Ecco la guerra di Ama, la municipalizzata dei rifiuti di Roma.

Si parte dalla condanna a 4 mesi di reclusione rimediata dall’ex manutentore dello stabilimento Ama di Rocca Cencia per aver aggredito un operaio lanciandogli alcuni gattini morti trovati nei rifiuti.

E si arriva a un procedimento appena aperto dal pm Gennaro Varone per “rifiuto di atti d’ufficio”, un’indagine dove non ci sono indagati, anche se i fari sono puntati sulle dinamiche interne all’Ama: mancate procedure che avrebbero impedito alla vittima dell’aggressione, traumatizzata per l’accaduto, di svolgere per anni il suo lavoro. Non sarebbe un caso isolato. Agli atti ci sono alcuni audio in cui una capo area della municipalizzata racconta di aver «fatto la guerra ad un’altra persona invalida, comminandole multe inventate e ottenendo così il risultato di sfinire lei e la direzione del personale», recita la denuncia indirizzata anche all’assessore comunale alla Salute Barbara Funari. Tra l’inizio e la fine di questa storia sono trascorsi 10 anni, una decade in cui un dipendente ha trascorso le sue giornate lavorative relegato in uno spogliatoio. Nessuno in Ama avrebbe saputo trovare un impiego consono alle problematiche del lavoratore, che dopo l’aggressione subita nel febbraio del 2012 ha riportato un’invalidità permanente e ampiamente certificata.

Le prescrizioni imposte all’Ama dalla Asl sono chiare: «Non collocare il lavoratore in un contesto che possa determinare stress relazionale».

A essere incerto è invece il futuro lavorativo dell’uomo. Licenziato e poi reintegrato, chiede invano di poter lavorare in una situazione consona alla sua malattia psichiatrica, ma nonostante i certificati sarebbe stato spostato in una sede lontana dalla sua abitazione, relegato «negli spogliatoi sottoterra facendo crescere così l’astio e l’antipatia dei suo colleghi nei suoi confronti che un giorno imbrattarono il suo armadietto con delle mutande sporche di materia fecale». Dell’Odissea del dipendente fa parte anche una sbarra di ferro caduta sulla sua testa dal soffitto dello stanzino dove attendeva una visita medica. Inutile rivolgersi all’ex sindaco Virginia Raggi, alle Pari Opportunità della Regione o anche ai responsabili dell’Ama. Lo rivelano gli audio allegati all’indagine e pubblicati sul sito di Repubblica: «Il primo capo zona che c’era si è preoccupato perché giustamente dice: “questa persona deve venire qui, ha queste limitazioni che cosa gli possiamo far fà? Punto di domanda. Non so a chi l’ha rivolta”», dice una responsabile dei dipendenti.

Non si risale a “chi l’ha rivolta”, ma si sa che nessuno ha risposto. «C’è questa idoneità contro una valutazione a livello comportamentale che lo limita, ma non c’è indicato cosa io gli possa far fare – chiede una capo area all’ufficio sanitario di Ama – Devo tenere presente della condizione, non è normale un esito del genere…Che devo fare io allora?», domanda perplessa la donna mentre l’interlocutore risponde “succede quello che succede”. C’è una tattica che sembra venga utilizzata in queste situazioni: “Fare la guerra” ai dipendenti per sollevare la questione. Perché il caso da cui è nata l’indagine dei pm non sarebbe isolato.

 

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