Il divieto di fecondazione assistita per le donne single

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È una questione su cui la Corte costituzionale si esprimerà a breve, e se deciderà di rimuoverlo sarà una grossa notizia

Martedì alla Corte costituzionale si è tenuta un’udienza pubblica sul divieto di accesso per le donne single alla fecondazione assistita, cioè l’insieme di tecniche mediche che permettono di avere figli a chi non può averli spontaneamente. Nel caso di una donna single – cioè che vuole diventare genitrice da sola e non con un’altra persona – consisterebbe nel poter ricorrere a una donazione di spermatozoi, fare la fecondazione del suo ovulo in vitro e poi impiantare nel suo utero la blastocisti (un primissimo stadio di sviluppo dell’embrione) che risulta dalla fecondazione.

Attualmente la legge italiana sulla fecondazione assistita, la legge 40 del 2004, permette il ricorso a queste tecniche solo alle coppie eterosessuali, sposate o conviventi. Per poter ricorrere a queste tecniche, quindi, le donne single italiane vanno all’estero, nei paesi in cui è possibile, e partoriscono poi in Italia. In alcuni casi, se non possono o non vogliono andare all’estero, ricorrono a canali non regolamentati e rischiosi da vari punti di vista.

La Corte costituzionale, che tra le altre cose si occupa di valutare la conformità delle leggi ai principi della Costituzione, si sta occupando proprio di decidere se il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) per le donne single sia legittimo o meno. L’udienza pubblica è un passaggio intermedio di questo procedimento, in cui la Corte ascolta le ragioni di tutte le parti in causa: ora i 15 giudici dovranno decidere sulla questione, cosa che potrebbe accadere nel giro di giorni o anche settimane.

Se la Corte dovesse dichiarare illegittimo il divieto di accesso alla PMA per le donne single, il divieto verrebbe di fatto rimosso: le pronunce della Corte hanno infatti valore di legge e si applicano dal giorno successivo alla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la fonte di tutte le norme e le leggi italiane. Significa, concretamente, che da quel momento in poi tutte le donne single che volessero far ricorso alla PMA potrebbero farlo in Italia, nelle cliniche sia pubbliche che private, senza dover più andare all’estero.

Al di là della questione specifica, una decisione di questo tipo avrebbe un valore anche simbolico rispetto alla legge italiana sulla fecondazione assistita, che nel corso di oltre vent’anni è finita ciclicamente davanti alla Corte costituzionale, che ha progressivamente rimosso molti dei divieti che conteneva.

La legge 40 del 2004 fu approvata durante il secondo governo di Silvio Berlusconi, da un parlamento a maggioranza di centrodestra, e in un clima politico e culturale già allora ostile ad alcuni ambiti della ricerca scientifica e alle nuove tecnologie che rendono possibile riprodursi a chi non riesce o non può farlo naturalmente. Nella sua forma originaria la legge 40 rendeva possibile l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita alle sole coppie eterosessuali, con una serie di altri divieti e limitazioni, e ancora oggi è tra le più restrittive d’Europa.

La Corte costituzionale si sta occupando del caso a seguito di una questione di legittimità costituzionale. Significa che un giudice di un tribunale ordinario ha chiesto alla Corte di valutare la costituzionalità del divieto in questione, e in particolare dell’articolo 5 della legge 40, nella parte in cui dice che «possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi».

Nello specifico, la questione è stata sollevata dal tribunale di Firenze per il caso di una donna di 40 anni di Torino, nota come Evita, che aveva fatto richiesta di poter accedere alla PMA in una clinica toscana, ricevendo un diniego. La clinica lo aveva motivato proprio col divieto di accesso a queste tecniche per le donne single previsto dalla legge 40 del 2004.

Evita, a quel punto, si è rivolta coi propri legali al tribunale di Firenze, sostenendo che il divieto e il conseguente rifiuto della clinica di prenderla in carico violassero vari articoli della Costituzione italiana, tra cui quelli sui diritti inviolabili della persona, la pari dignità sociale dei cittadini davanti alla legge, l’inviolabilità della libertà personale e il diritto alla salute, e due articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: quello sul diritto al rispetto della vita privata e familiare e quello sul divieto di discriminazione.

Evita è stata difesa da un gruppo di avvocate e avvocati dell’associazione Luca Coscioni, tra cui Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione, Francesca Re e Alessia Cicatelli. L’associazione Luca Coscioni si occupa da anni di diritti civili, libertà di ricerca scientifica e ha promosso i vari casi che nel corso degli ultimi vent’anni hanno portato la Corte costituzionale a rimuovere i divieti contenuti nella legge 40.

Nell’udienza alla Corte di martedì, l’associazione ha parlato anche di un altro caso simile: quello di Serena, una donna single originaria di Brescia, che recentemente ha ricevuto due dinieghi da parte di due cliniche diverse, una in Emilia-Romagna e l’altra in Toscana, per ricorrere alla PMA, sempre sulla base del divieto contenuto nella legge 40.

Il tribunale di Firenze, a cui si era rivolta Evita, non si è espresso direttamente sul caso, ma ha come detto rinviato la questione alla Corte costituzionale, che ha il potere di dichiarare illegittimo il divieto e una cui decisione non riguarderebbe solo il caso singolo, come nel caso di un tribunale ordinario, ma tutte le donne nella condizione di Evita. Sollevando la questione di legittimità, il tribunale di Firenze ha sostenuto che il divieto crei una «irragionevole disparità di trattamento» tra chi può e chi non può accedere alla PMA, e che questa disparità non trovi alcun fondamento nella Costituzione, oltre al fatto che alimenta disuguaglianze economiche tra chi può andare all’estero e chi non può.

Il tribunale di Firenze ha inoltre citato quelle che considera alcune incongruenze tra il divieto in vigore e alcune possibilità già previste dal nostro ordinamento: per esempio l’adozione in casi particolari da parte delle persone single, o il fatto che le donne che ricorrono alla PMA all’estero e poi partoriscono in Italia vengono poi riconosciute come genitori del nato o della nata dallo Stato. In altre parole, ha detto il tribunale di Firenze, la genitorialità single in Italia esiste già, e questo renderebbe ancora più insensato il mantenimento in vigore di un divieto di concepire figli come persone single. Il tribunale ha poi ribadito il contrasto del divieto con gli articoli della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La decisione della Corte costituzionale, come detto, potrebbe arrivare nei prossimi giorni o nelle prossime settimane. Nel frattempo i legali e le legali dell’associazione Luca Coscioni hanno avviato una campagna di raccolta firme a sostegno della rimozione del divieto di PMA per le donne single, e sottolineato come in Italia nascano oltre 15mila bambini e bambine l’anno grazie alla PMA.

Secondo l’ultima relazione inviata al parlamento dal Registro nazionale della PMA dell’Istituto superiore di sanità si parla di un dato in aumento: nel 2022 sono nati 16.718 bambini e bambine con la PMA, più del 4 per cento del totale dei nati in Italia, con un dato in aumento del 30,24 per cento rispetto al 2015, l’anno successivo a quello in cui in Italia fu resa legale, solo per le coppie eterosessuali, la fecondazione assistita con donazione di gameti (cioè ovuli o spermatozoi esterni alla coppia), sempre grazie alla rimozione del relativo divieto da parte della Corte costituzionale.

Redazione Il Post

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