Dopo la pubblicazione di un importante rapporto a gennaio, ora un gruppo di esperti sta esaminando la situazione dei 14 sacerdoti accusati ancora in vita
A fine gennaio la diocesi di Bolzano-Bressanone aveva pubblicato i risultati di un rapporto sui casi di abusi sessuali commessi negli ultimi sessant’anni nella diocesi stessa. Ora un gruppo di esperti sta analizzando la situazione dei 14 sacerdoti accusati e ancora in vita.
Il gruppo è composto da 6 persone: tre sono esterne e tre fanno parte dell’organizzazione diocesana, e fra loro ci sono un’avvocata, una psicoterapeuta e uno psichiatra. Una volta esaminati i casi, proporranno al vescovo quali misure prendere per ciascuno di essi: i sacerdoti ne saranno informati e saranno obbligati a rispettarle.
Le azioni contro le persone accusate non sembrano includere il ricorso a provvedimenti legali. Fra le possibilità citate dalla diocesi ci sono il divieto di celebrare la messa in forma pubblica, la richiesta di ricorrere a un accompagnamento psicologico, la restrizione dei contatti con la comunità dei fedeli (in particolare bambini e giovani), o «il monitoraggio da parte di persone incaricate» non meglio specificate, che dovrebbero fornire riscontri sul comportamento dei sacerdoti.
La maggior parte dei casi segnalati risale a un periodo fra 30 e 60 anni fa: i 14 sacerdoti sono per lo più anziani e non più in servizio da anni (in totale quelli accusati con certezza o con alta credibilità dal rapporto erano 29). Secondo quanto detto dalla diocesi finora «il gruppo di esperti si è riunito tre volte ed ha esaminato la situazione di sei sacerdoti».
Il comunicato della diocesi segnala inoltre che dalla pubblicazione del rapporto 20 persone hanno contattato l’apposito sportello di ascolto diocesano dicendo di aver subìto abusi, e diverse altre segnalazioni sono state presentate attraverso altri canali. Le persone che denunciano abusi ricevono, a seconda della necessità, un sostegno psicoterapeutico, legale e spirituale da parte della diocesi.
Il corposo documento di 631 pagine è il risultato del lavoro dello studio legale tedesco Westpfahl Spilker Wastl di Monaco di Baviera, in Germania, che dal 2010 in poi si era occupato di altre indagini su casi di abusi sessuali nella Chiesa in Germania, Spagna e Portogallo. Il rapporto affronta il problema degli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica in modo dettagliato, parlando tra le altre cose della dimensione sistemica delle violenze, a differenza del deludente rapporto dell’assemblea dei vescovi italiani, la CEI, pubblicato fra il 2022 e il 2023.
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Il vescovo di Bolzano e Bressanone Ivo Muser nella conferenza stampa sugli abusi nella Chiesa altoatesina, il 24 gennaio 2025 (ANSA/ G.NEWS)
La diocesi di Bolzano-Bressanone è stata la prima in Italia a commissionare un’indagine di questo tipo, e non è un caso. Da tempo è infatti assai più attiva sul tema degli abusi rispetto ad altre diocesi italiane: nel podcast La bomba i vaticanisti Iacopo Scaramuzzi e Alvise Armellini avevano spiegato che l’atteggiamento più autocritico della diocesi di Bolzano va attribuito soprattutto a una certa sintonia con la Germania, dove già quindici anni fa si iniziarono a pubblicare in maniera piuttosto sistematica i primi rapporti sugli abusi all’interno della Chiesa.
In 60 anni i legali hanno rilevato 67 presunte situazioni di abuso. Le presunte vittime sono state 75, di cui 51 femmine, 18 maschi e 6 di cui non si conosce il sesso. Quasi tutti erano minorenni: il 51 per cento delle femmine aveva tra gli 8 e i 14 anni, mentre la metà dei maschi aveva 17 anni. Secondo quanto ricostruito nel rapporto, tre uomini si sono suicidati decenni dopo aver subìto violenza. Gli autori hanno osservato che le loro scoperte hanno probabilmente portato alla luce solo alcuni casi, e ritengono che ci sia un numero «ampiamente maggiore, forse addirittura esorbitante» di casi sommersi.
Nel dossier si insiste in particolare sulla mancanza di una «cultura dell’errore» all’interno della diocesi, cioè il prolungato rifiuto di molti responsabili ecclesiastici di affrontare in modo adeguato i sacerdoti accusati di avere commesso abusi, per non dover ammettere di aver sbagliato a gestire casi simili in passato e per evitare di dover correggere le decisioni dei propri predecessori (situazione comune a molte altre diocesi nel mondo in cui sono stati verificati gli abusi).
Questa mancanza di «cultura dell’errore» è una delle ragioni principali per cui, secondo il rapporto, molti sacerdoti abusanti o su cui c’erano molti indizi sono restati in servizio per decenni, venendo al massimo trasferiti in altre parrocchie. Diversi responsabili ecclesiastici, si legge nel dossier, si sentivano «molto più strettamente legati agli autori degli abusi, ma anche all’istituzione stessa e ai loro rispettivi interessi, che ai soggetti abusati e alle sofferenze loro inflitte dai rappresentanti della Chiesa». Dopo la pubblicazione del rapporto il vescovo Ivo Muser ha detto espressamente che la Chiesa deve introdurre la “cultura dell’errore” nel suo modo di operare.