Il futuro dei paesi di montagna passa ancora dallo sci?

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Un impianto fermo a Lizzola, in provincia di Bergamo (Valerio Clari/il Post)

Il dibattito è particolarmente acceso a Lizzola, in provincia di Bergamo, per il contestato progetto di un nuovo comprensorio con un traforo in quota

di Valerio Clari
Redazione Il Post

Lizzola è un centro abitato da un centinaio di residenti al fondo dell’Alta val Seriana, in provincia di Bergamo: la strada finisce lì e non va da nessun’altra parte. È anche una piccola stazione sciistica risalente agli anni Settanta, con tre-quattro seggiovie piuttosto vecchie e traballanti, che mostrano di essere arrivate decisamente a fine corsa. La storia di Lizzola, che fa parte del comune di Valbondione, è simile a quella di molti altri paesi di montagna delle valli bergamasche, ma anche di altre zone delle Alpi, quelle meno in voga e meno turisticamente sviluppate.

La frazione di Lizzola, comune di Valbondione, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

La storia è quella di un lento ma inesorabile declino: meno gente, meno turisti, meno esercizi commerciali, meno soldi, meno attrattive e meno risorse, in un circolo vizioso in cui è difficile individuare quali siano le cause e quali gli effetti. In questo contesto per Lizzola è stato proposto di entrare a far parte di un comprensorio sciistico: un progetto grande, impattante e molto criticato da una parte della popolazione, per ragioni ambientali, economiche e di opportunità. Il progetto del comprensorio divide il paese e la valle.

Le discussioni animate finiscono per riguardare i diversi modelli di futuro per le comunità montane e sono estendibili a molti altri posti, diversi ma simili a Lizzola. Un modello si aggrappa a un turismo sciistico che almeno negli ultimi vent’anni è stato sempre meno sostenibile, anche solo restando alle questioni economiche, senza toccare quelle ambientali. Un altro propone una fruizione diversa della montagna, che ha contorni meno definiti, sicuri e immediati, forse con un’implicita accettazione di un qualche tipo di  “decrescita”.

Una parte della valle dove dovrebbe essere realizzato il collegamento verso Colere e l’arrivo di un attuale impianto, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

Il declino dei posti come Lizzola è causato principalmente da due fattori. In inverno la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature ha ristretto la stagione sciistica e obbligato a ricorrere a un costoso innevamento artificiale. D’estate il cambiamento nelle abitudini delle vacanze della maggior parte degli italiani ha messo in crisi un modello turistico basato sulle “seconde case”. Il turismo di residenza, con famiglie che si trasferivano per tutti i tre mesi estivi, aveva fatto la fortuna del posto negli anni Sessanta, Settanta e fino ai Novanta, periodo in cui in queste zone si costruiva molto, spesso anche con piani edilizi approssimativi e con permessi piuttosto facili da ottenere. Oggi quelle lunghe ferie spesso non esistono più e i turisti cercano per i periodi di vacanze più brevi luoghi con più risorse e attrattive.

Case in vendita a Lizzola, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

Lizzola, come molti altri paesi della zona, di attrattive turistiche quasi non ne ha, montagne a parte: i ristoranti, che erano abbondanti in passato, oggi perlopiù hanno chiuso. Ne resta uno, oltre a un bar. «Ma non fidatevi troppo degli orari, aprono un po’ a sentimento» dice un abitante. Anche gli alberghi erano più numerosi un tempo: oggi ce n’è uno che ospita principalmente scolaresche all’interno del progetto “Scuola in montagna”. Quando i vecchi proprietari decidono di mollare, non si trovano nuovi esercenti: perché serve molto impegno, gli orari sono lunghissimi, i clienti pochi e quindi sono scarsi anche gli incassi. Le iniziative culturali o ricreative sono per lo più assenti. «Dipendono da temporanei impeti di buona volontà di singole persone, che poi inevitabilmente si stufano», dice Elisa, che vive nella zona e fa parte del comitato terreAlt(r)e, che “cerca altri modi di vivere la montagna”. Restano le piste da sci, che anche quando la neve c’è – come in questo gennaio – lavorano soprattutto nei fine settimana: negli altri giorni le presenze sono più vicine alla decina che al centinaio.

In questa situazione comune a molti paesi e a molte valli si sono inserite due variabili, che hanno riportato Lizzola sui giornali, prima locali e poi nazionali. La prima è la volontà di investire nei suoi impianti sciistici da parte dell’azienda che ha già rifatto quelli di Colere, nella vicina val di Scalve, con l’intento di collegare le due stazioni. L’azienda è la RSI, finanziata da Massimiliano Belingheri, colerese che ha lavorato nella finanza londinese e ora è amministratore delegato di Banca BFF

L’altra variabile è l’elezione a giugno 2024 a sindaco di Valbondione di Walter Semperboni, convinto sostenitore del progetto di comprensorio e personaggio spesso sopra le righe, fra ostentate simpatie per il passato fascista (ha una M di Mussolini tatuata sul collo e Faccetta nera come suoneria del telefono) e una frequente e colorita attività sui social, con scambi di insulti con la parte avversa. Il dibattito sul progetto, già animato, è diventato ancora più teso.

Il sindaco di Valbondione Walter Semperboni nel suo ufficio con alcuni giornali d’epoca in cui si parlava di progetti di collegamento con altre valli, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

Il progetto di RSI è quello di rilevare gli impianti di Lizzola, che dovranno forzatamente essere dismessi nei prossimi anni, sostituirli con una telecabina e collegare le piste di Lizzola con quelle di Colere. Per farlo sarà necessario scavare un traforo di 450 metri in quota, sotto il Pizzo di Petto, in cui opererà una funicolare; costruire due nuove piste in val Conchetta e val Sedornia; installare o spostare altri 3 impianti; creare un bacino artificiale di accumulo di acqua per alimentare un sistema di innevamento artificiale. Sono lavori imponenti, dal costo previsto di 70 milioni di euro, di cui 50 dovrebbero arrivare da fondi pubblici (principalmente regione e ministero del Turismo) e 20 dalla RSI stessa, dopo la firma di una convenzione per 60 anni che coinvolga gli altri comuni interessati.

L’investimento economico è notevole, superiore a quelli normalmente concessi per rinnovare gli impianti, ma il governo ha stanziato un fondo di 200 milioni per il quadriennio 2023-2026 per «l’ammodernamento, la sicurezza e la dismissione degli impianti di risalita e di innevamento artificiale».

Lizzola ha un’altitudine di 1.250 metri, Colere di 1.000, gli impianti arrivano fino a circa 2.200 metri e i collegamenti fra le due stazioni si realizzerebbero in quota, sopra i 1.800. Secondo le presentazioni di RSI, il comprensorio sarebbe «più sostenibile nel lungo periodo, con quote più alte». Da anni Legambiente nei dossier Nevediversa raccoglie dati sul settore e testimonia come le stazioni sciistiche a quote più basse soffrano e in molti casi chiudano: a fine 2023 (ultimi dati disponibili) quelli chiusi erano 177, dei quali 39 nell’ultimo anno. Le quote del nuovo comprensorio, secondo i critici, non metterebbero certo al sicuro da uno scarso innevamento naturale.

Angelo Borroni è un docente del Politecnico di Milano in pensione, fa parte del gruppo ambientalista Orobievive e in questi mesi ha analizzato il progetto. Dice che quello di cui si è parlato di più è quel tunnel in quota da scavare nella montagna, ma che ci sono anche altri problemi: «La parte più evidente di un progetto del genere sono le linee di risalita, gli impianti, i piloni, i seggiolini, ma poi ce n’è tutta un’altra. Per creare delle piste bisogna sbancare e livellare per evitare eccessive pendenze e gobbe, per prevedere strutture di innevamento artificiale bisogna creare reti di servizi nel sottosuolo, simili a quelle che si trovano nelle città».

Dice che fare una pista è come fare «grandi strade» di 20 metri di larghezza, che diventano anche 50 nei punti di maggiore pendenza, dove è meglio prevedere più spazio per permettere agli sciatori di curvare di più: in certi punti si toglie terra, in altri si aggiunge, livellando la montagna. Per far funzionare i cannoni serve realizzare una rete fissa che porti acqua, aria e fibre ottiche, con pozzetti ogni 50-60 metri. Innevare costa circa 30mila euro al chilometro l’anno (il nuovo comprensorio dovrebbe avere circa 50 chilometri di piste).

Il fronte contrario sottolinea inoltre che non sono stati fatti studi sul rischio frane e valanghe (potrebbero essere necessarie strutture di protezione fisse) e che la zona fa parte di un’area carsica, il che complicherebbe i lavori perché la realtà del sottosuolo non è conosciuta. La zona interessata dal collegamento rientra nella nella Zona Speciale di Conservazione (ZSC) Val Sedornia-Val Zurio-Pizzo della Presolana, un’area in cui l’habitat naturale dovrebbe essere preservato, e fa parte del Parco delle Orobie. Luca Mangili, presidente di Flora Alpina Bergamasca, dice: «È una delle più ricche della Lombardia dal punto di vista floristico, con specie endemiche protette a livello regionale. Gli interventi sarebbero irreversibili, perché una volta distrutto il pavimento calcareo non si torna indietro».

Gli impianti che partono attualmente da Lizzola, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

Gli argomenti ambientalisti sono sostenuti anche dalla sezione locale del CAI (Club Alpino Italiano), da Legambiente e LIPU (associazione specializzata nella protezione degli uccelli), ma a Valbondione sembrano fare breccia su una parte minoritaria della popolazione.

Il sindaco Walter Semperboni dice: «La verità è che sono stato eletto con un programma che aveva al punto uno il comprensorio, per cui la gente del posto è a favore. Quelli che firmano la petizione contro l’opera sono gente di fuori. E poi mi devono spiegare qual è il loro progetto alternativo. Senza il comprensorio Lizzola muore, almeno d’inverno». Il progetto di RSI di rilevare gli impianti è subordinato al collegamento con Colere, mentre il sindaco dice che al momento non ci sono altre imprese interessate a rifare e gestire gli impianti di Lizzola: «Fra un anno chiuderebbero e resterebbero i ruderi, come in Valcanale». Nella vicina Ardesio gli impianti hanno chiuso circa 30 anni fa.

A Lizzola in un venerdì di gennaio il parcheggio degli impianti era quasi vuoto, i negozi chiusi e non si incontravano persone per le vie della frazione. A Valbondione i gestori di bar e negozi si dicevano favorevoli al comprensorio, con l’idea che possa servire a rilanciare il paese. RSI nelle presentazioni del progetto, che parlano anche di una “destagionalizzazione degli impianti” (cioè il loro uso anche d’estate), prevede una crescita di presenze da 76mila l’anno a 100mila a Colere, e da 23mila a 60mila a Lizzola.

Chi si oppone segnala invece che aumenteranno solo i turisti che verranno a sciare e a parcheggiare a Valbondione, senza fermarsi (anche per l’assenza di strutture ricettive), e che la strada per arrivare in paese è una sola, stretta e nei weekend già perennemente ingolfata: Milano è lontana un’ora e mezza, ma la domenica pomeriggio i tempi di percorrenza diventano molto molto più lunghi.

Una delle vie di Lizzola, 24 gennaio 2025 (Valerio Clari/il Post)

Il sindaco dice che il consiglio comunale proporrà e poi approverà il progetto come di «utilità pubblica». In questi mesi ha anche litigato molto, e le discussioni hanno portato a una certa frattura all’interno della comunità.

Il progetto è ancora in una fase iniziale: dopo la firma delle convenzioni fra società e comuni dovrà essere convocata una Conferenza dei servizi, dovrà essere verificata la disponibilità di bandi e fondi pubblici, serviranno approfondimenti dei progetti, dei costi e delle certificazioni ambientali. I tempi previsti, che indicavano aprile 2025 come inizio lavori e fine 2026 per la conclusione, non saranno rispettati. In passato ci sono stati altri progetti simili non andati in porto, ma RSI porta come esempio il rinnovamento di Colere, con i nuovi impianti in funzione dalla stagione 2023-24 e con il rinnovamento di rifugi e alberghi in corso. Anche allora si parlò di rilancio per il paese e per l’intera valle, ma una sola stagione completa non viene ritenuta sufficiente per un bilancio economico.

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