È la terza volta che il governo prova a usare i discussi centri per richiedenti asilo
Intorno alle 7:30 di martedì mattina la nave Cassiopea della Marina Militare italiana è arrivata nel porto di Shengjin, in Albania. A bordo c’erano 49 uomini migranti soccorsi nel fine settimana dalle autorità italiane in acque internazionali, a sud dell’isola di Lampedusa, provenienti in maggioranza dal Bangladesh e poi da Egitto, Costa d’Avorio e Gambia. Sono stati portati in Albania per essere ospitati nei discussi centri per richiedenti asilo realizzati dal governo italiano, che finora sono rimasti quasi del tutto inutilizzati. L’obiettivo sarebbe trattenerli lì e poi rimpatriarli, un piano che è già stato tentato in due occasioni e che entrambe le volte è stato bloccato per ragioni giuridiche.
È infatti la terza operazione di questo tipo da quando i centri in Albania sono stati aperti, e anche quella con più persone rispetto alle due precedenti di ottobre e novembre. Le altre due volte il tribunale di Roma non aveva convalidato i trattenimenti dei migranti, che avevano dovuto quindi essere riportati in Italia e rilasciati, sempre per mezzo di una nave militare (la Libra in quel caso), con tutti i relativi costi.
Dopo più o meno tre ore dall’arrivo della nave le 49 persone sono state portate nel primo dei tre centri costruiti dall’Italia, un hotspot a pochi metri dal porto di Shengjin dove vengono sbrigate le prime pratiche, come i controlli sanitari e l’identificazione (che possono durare diverse ore). Se durante i controlli sanitari dovessero essere trovate persone con fragilità, saranno rimandate in Italia.
Alla fine di queste procedure le persone dovrebbero essere portate a Gjader, un piccolissimo paese dell’entroterra dove si trovano gli altri due centri costruiti dall’Italia: un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. A Gjader dovrebbero aspettare la valutazione delle loro richieste d’asilo ed eventualmente il rimpatrio. Nei due precedenti i migranti erano rimasti lì solo per poco tempo, prima che venissero mandati in Italia.
Nelle intenzioni del governo i centri in Albania dovrebbero servire a ospitare gli uomini adulti – e non le donne, i minori o persone con evidenti fragilità – soccorsi dalle autorità italiane nel Mediterraneo e provenienti da paesi che il governo italiano considera “sicuri”, ossia dove ritiene che l’ordinamento democratico e i diritti della popolazione siano rispettati: selezionando le persone in questo modo il governo spera di facilitare e velocizzare le procedure per rimpatriarle nei paesi d’origine. Nell’Unione Europea infatti le richieste d’asilo presentate da persone che provengono da paesi considerati sicuri possono essere giudicate inammissibili e respinte, causando l’espulsione di chi le ha presentate.
Finora le cose non sono andate come le aveva pensate il governo proprio a causa della definizione di “paesi sicuri”. Per il momento l’Unione Europea non ha una definizione univoca: ogni paese può decidere autonomamente quali paesi ritenere sicuri sulla base di alcuni principi fondamentali. Il problema è che l’Italia considera sicuri anche paesi dove il rispetto dei diritti umani spesso non è garantito, dove sono documentate discriminazioni e persecuzioni verso minoranze o oppositori politici.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha messo in discussione il modo in cui l’Italia applica le norme sui “paesi sicuri”, ed è per questo che finora non sono stati convalidati i trattenimenti dei migranti nei centri in Albania, dove sarebbero state attivate le procedure per rimpatriarli. In entrambi i casi di migranti portati in Albania, in sostanza, il tribunale di Roma aveva ritenuto che tornando nei loro paesi d’origine i migranti sarebbero stati in pericolo. Tra questi c’erano anche Bangladesh ed Egitto, da cui proviene buona parte dei migranti portati in Albania dalla nave Cassiopea.
A dicembre il governo ha ottenuto di togliere la competenza su questi casi ai giudici dei tribunali (cioè gli organi di giudizio di primo grado) e di affidarla alle Corti d’Appello. La decisione aveva suscitato proteste nella magistratura, che riteneva che in questo modo si sarebbe rallentata molto l’attività delle Corti. Dal 18 dicembre comunque il presidente della Corte d’Appello di Roma impiega temporaneamente dei magistrati del tribunale ordinario, tra cui gli stessi specializzati in immigrazione che non avevano convalidato i rimpatri e che il governo voleva evitare.
Viste tutte queste premesse, non sembra insomma che siano cambiate le condizioni per cui non erano stati convalidati i trattenimenti dei migranti in Albania, e per cui i centri finora sono rimasti quasi inutilizzati. La valutazione però spetta al giudice che si occuperà di valutare le richieste di trattenimento. Le altre due volte c’erano voluti pochi giorni.