In Italia stanno finendo gli alberi da piantare

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Una piccola quercia appena messa a dimora (ANSA / Mauro Zocchi)

Ne servirebbero molti per i progetti del PNRR, ma i vivai hanno quasi finito le scorte anche a causa di una pratica poco corretta dei giardinieri

Il comune di Bari vuole realizzare un nuovo grande parco nell’area dell’ex stabilimento Fibronit, dove fino a metà degli anni Ottanta si producevano manufatti in amianto. Si chiamerà parco della Rinascita. Negli ultimi mesi sono stati individuati i progettisti e le imprese, e sono stati fatti i preventivi per i materiali da costruzione. Manca solo una cosa che però sarebbe essenziale: gli alberi.

Il progetto dice che ne servono duemila, ma nei vivai pubblici e privati se ne trovano pochissimi. Molte altre città italiane – al Sud come al Nord – hanno lo stesso problema di Bari. In Italia la domanda di alberi è enorme per via dei tanti progetti portati avanti con i soldi del PNRR, il piano di riforme e investimenti finanziato con fondi europei. «Per far crescere un albero da piantare in un parco ci vogliono cinque anni. Cinque anni fa nessuno ci aveva avvisato di piantarne milioni. Quelli che avevamo stanno finendo», dice Luigi Pagliani, presidente dell’associazione nazionale dei vivaisti (ANVE).

Nei vivai sono rimasti sia pochi alberi grandi almeno un metro e mezzo sia quelli più piccoli, alti una ventina di centimetri. I primi costano naturalmente di più e vengono piantati nei parchi delle città o dei paesi: non sono ancora del tutto sviluppati, ma crescono e fanno ombra nel giro di pochi anni. Gli alberi da forestazione, di fatto delle piantine, servono invece per i progetti della cosiddetta forestazione urbana, cioè lo sviluppo di aree verdi dentro e soprattutto intorno alle città. In entrambi i casi i vivai italiani non ne hanno abbastanza per rispondere alle richieste.

Questa mancanza è dovuta a una programmazione inefficiente e al progressivo smantellamento della rete di vivai forestali pubblici gestiti dalle regioni, dove vengono coltivate specie forestali tipiche del territorio. Le piante dei vivai forestali vengono date gratuitamente ai comuni che le chiedono per i progetti di forestazione urbana, oppure in caso di ripristino di aree verdi e boschi distrutti da incendi o alluvioni.

Fino al 2017 molti di questi vivai erano gestiti dal Corpo forestale dello Stato, poi inglobato nei Carabinieri. Da allora i forestali italiani sono diventati militari alle dipendenze del ministero della Difesa. Il passaggio ha portato alla dismissione di molti vivai forestali, ridimensionati o abbandonati del tutto. In Italia ne sono rimasti 71, di cui 31 esclusivamente forestali, mentre gli altri vendono anche piante ornamentali ai privati. Nel 2019 la capacità produttiva complessiva era di 4,1 milioni di piante, con una distribuzione poco omogenea: 1,8 milioni di alberi nelle regioni del Nord, poco meno di 200mila nel Centro, 600mila al Sud e 1,5 milioni soltanto in Sardegna.

La distribuzione non è un aspetto secondario perché le regole (anche quelle del PNRR) impongono di piantare alberi giusti nelle zone giuste: non si può piantare un sughereto in Alto Adige o un bosco di abeti rossi sulla costa siciliana. I semi inoltre devono essere certificati, provenienti da specie autoctone per non alterare la biodiversità.

Piante messe a dimora a Trieste

Piante messe “a dimora” a Trieste (ANSA/Mauro Zocchi)

Oltre ai vivai forestali esistono poi i vivai commerciali che vendono alberi e piante ornamentali sul mercato, anche ai privati. Negli ultimi anni però le regole e i costi hanno scoraggiato gli imprenditori a espandere i vivai e lo Stato non ha fatto nulla per fargli cambiare idea. Pagliani spiega che per un vivaio privato è proibitivo tenere piante da forestazione proprio per via delle regole: un produttore che vuole competere sul mercato nazionale deve tenere in vivaio piante per ogni tipo di fascia climatica. Il rifornimento delle piante è più complesso e i costi per mantenerle alti. I semi, inoltre, devono essere forniti dai Carabinieri forestali che in questo modo regolano e controllano il mercato.

I vivaisti privati italiani sono i primi produttori europei di alberi e piante ornamentali, ma esportano il 45 per cento della produzione. Viene spedita principalmente in Francia, Germania, Paesi Bassi e anche nel Regno Unito. Pagliani dice che quando un vivaista deve decidere se vendere un albero in Italia o all’estero vincono sempre i paesi esteri che pagano più velocemente, senza sorprese: «La verità è che in Italia non ne vale la pena». Alcune città straniere, soprattutto francesi, hanno addirittura firmato contratti di coltivazione con vivai italiani, un modo per programmare una fornitura di alberi e piante per un certo numero di anni.

Nella proposta del PNRR l’Italia aveva promesso di piantare 6,6 milioni di alberi entro il 2024, un numero considerato irrealistico dai vivaisti già pochi giorni dopo l’annuncio. Lo scorso anno l’obiettivo è stato ridimensionato anche grazie all’aiuto di uno stratagemma: nel piano non è più previsto di piantare 6,6 milioni di alberi, ma 4,5 milioni di «materiale di propagazione forestale», cioè piante oppure semi. Per rimediare alla mancanza di alberi, insomma, sono stati acquistati semi che nei prossimi anni dovrebbero crescere fino a diventare alberelli da trapiantare. Del caso si è occupata anche la Corte dei Conti, che nel marzo del 2023 aveva segnalato gravi ritardi.

L’indagine della Corte dei Conti aveva anche fatto emergere l’inefficacia della messa “a dimora” (cioè il trapianto) di migliaia di piante, trovate già secche e morte pochi mesi dopo essere state piantate.

Diversi vivaisti sentiti dal Post hanno confermato un’anomalia che spiega questa incuria, dovuta in parte a un espediente trovato dagli impiantisti, cioè i giardinieri vincitori degli appalti del PNRR per i progetti di forestazione urbana. I contratti prevedono di piantare gli alberelli alti poco più di dieci centimetri e di curarli per farli crescere: servono protezioni e soprattutto acqua, per evitare che si secchino. Una piantina costa poco più di un euro, mentre la manutenzione continuativa è più costosa. Siccome i controlli per il rispetto dei contratti di fornitura e manutenzione sono generalmente annuali o biennali, in molti casi gli impiantisti preferiscono piantare una piantina, lasciarla morire, e piantarne un’altra un paio d’anni dopo. In questo modo riescono a risparmiare i costi di manutenzione. Questo metodo, oltre a sprecare moltissime piante, ha causato un aumento ulteriore della richiesta di alberi in un mercato già in difficoltà.

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