L’inaugurazione della prima metro di Milano, sessant’anni fa

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Persone all'ingresso della metro in piazza San Babila, primo novembre 1964 (Zanni/ RCS/ Contrasto)

Foto d’archivio dei lavori e dei primi passeggeri della M1, o linea rossa, di cui partì il primo treno la mattina del 1° novembre 1964

Sessant’anni fa fu inaugurata la linea M1 della metropolitana di Milano, che attraversa il centro della città e si dirama in più punti, collegando quartieri a nord-est, nord-ovest e sud-ovest. È la seconda metropolitana costruita in Italia dopo la metro B di Roma, inaugurata nel 1955. All’apertura la “rossa”, come viene chiamata a Milano, era lunga 12,5 chilometri e aveva 21 stazioni. Negli anni poi venne prolungata più volte e adesso ha 38 stazioni per 27 chilometri totali. Oggi è la linea della metro più usata, con 500mila passeggeri al giorno di media.

Il viaggio inaugurale del 1° novembre 1964 partì alle 10:41 del mattino dal capolinea di Lotto (a ovest della città) e arrivò fino a quello di Sesto Marelli (a nord). Tra i passeggeri c’erano il sindaco di allora, Pietro Bucalossi, e il cardinale Giovanni Colombo. In realtà però era stata già fatta una sorta di viaggio in anteprima il 12 aprile 1964, in occasione della Fiera campionaria, durante la quale venivano presentate le novità delle industrie locali. A quel viaggio partecipò anche il presidente della Repubblica, Antonio Segni. Seguirono poi sette mesi durante i quali la metro venne testata a lungo prima di essere aperta al pubblico.

I primi progetti della M1 furono fatti molto prima dell’inaugurazione: risalgono al 1912 e inizialmente prevedevano di creare un collegamento tra Milano e Monza. Le guerre mondiali fecero accantonare l’idea, che venne poi ripresa ufficialmente nel 1952, quando il comune creò la società Metropolitana Milanese per seguire i lavori.

L’inaugurazione della M1 (Archivio storico Atm)

La metropolitana costò 44 miliardi e 175 milioni di lire (sarebbero circa 560 milioni di euro di oggi), 3,5 miliardi al chilometro: 24 miliardi servirono per realizzare le gallerie, 5 miliardi per finiture e impianti, 7 miliardi per gli impianti ferroviari e sei miliardi per quello che veniva definito «materiale nobile», ovvero i componenti elettronici. La spesa fu sostenuta interamente dal comune di Milano, senza contributi statali, cosa che i giornali milanesi non mancavano di far notare.

Sul Corriere della Sera del 1° novembre fu il giornalista e scrittore Dino Buzzati a scrivere un articolo di commento e racconto della novità, che aveva come protagonista un ipotetico signore di Milano mortificato che la sua città fosse arrivata così in ritardo a costruire una metro rispetto al resto d’Europa. Però poi il signore scende a vedere e si ricrede. Scrisse Buzzati:

Un lungo convoglio della metropolitana giovanetta sboccò con soffice boato nella stazione fermandosi con automatica esattezza nella posizione prefissata, le porte automatiche si aprirono. Automaticamente davanti e di dietro si accesero dei fanalini e i cervelli elettronici con automatico impulso registrarono la presenza trasmettendo il dato a tutti gli altri apparecchi automatici disseminati lungo la linea. E alla gente che in attesa sulla banchina cominciava anche lei ad automatizzarsi compreso il vecchio signore di cui sopra, la metropolitana in silenzio disse: «Non guardatemi con quegli occhi stralunati, sono di puro sangue milanese anch’io, e di voi conosco ormai vita e miracoli. Quante ne ho sentite ed imparate per anni e anni mentre mi scavavo lentamente la strada al di sotto delle case, là dove attraverso la melma, i sassi, la terra e le macerie antiche, nell’intrico di tubi, travi, cavi, fili, condotti e fogne, scolano e si depositano da secoli i vostri più gelosi e amari segreti».

I biglietti erano di tre tipi: il biglietto ordinario color «bianco paglierino», valido per una corsa sola, costava 100 lire (1 euro e 27 centesimi di oggi); quello «preferenziale» per 2 corse quotidiane era verde e faceva parte di un carnet da sei che costava 720 lire. Poi c’era quello da 4 corse quotidiane, che invece era rosso e faceva parte di un carnet da 12, e costava 1.400 lire.

Il percorso della metro M1 (immagine dal sito di Atm)

La metro a Milano era una tale novità che i giornali la spiegavano con ricchezza di dettagli e istruzioni: come funzionava l’obliteratrice (il biglietto va «infilato nell’apposita feritoia»), come si sale sui vagoni, specificando che al contrario dei tram non esistono porte riservate all’ingresso e altre all’uscita dei passeggeri, o cosa si poteva portare a bordo («strumenti musicali, un paio di sci» e anche carrozzine per le quali però andava pagato un biglietto a parte).

I tornelli “a trifoglio” progettati da Franco Albini e Franca Helg (© Fondazione Franco Albini)

La linea rossa ha un design piuttosto famoso e celebrato: i primi tornelli e tutti gli ambienti furono progettati dai designer e architetti Franco Albini e Franca Helg, mentre la segnaletica dal designer Bob Noorda. I loro progetti quell’anno vinsero il Compasso d’oro, il più prestigioso premio per il design in Italia.

In particolare è diventato una sorta di simbolo della città il corrimano rosso e ricurvo, progettato così per evitare che i passeggeri si impigliassero con le borse o i cappotti.

Il corrimano tubolare progettato da Franco Albini e Franca Helg (© Fondazione Franco Albini)

Tra l’altro il corrimano venne pensato per creare un effetto di continuità: inizia all’esterno, dalle scale, e finisce sulle banchine, ma percorre anche le altre superfici della stazione, “accompagnando” il passeggero fino al treno, come se si srotolasse. Oggi gli studi della metropolitana, i progetti e le fotografie degli arredi sono conservati dalla Fondazione Albini di Milano, che organizza anche visite guidate gratuite all’archivio.

I lavori vennero completati in soli 7 anni: il direttore dei sistemi di mobilità MM Massimo Guzzi in un’intervista al TgR ha detto che la velocità fu resa possibile da una «burocrazia molto più snella», nonostante la difficoltà «di fare una cosa totalmente nuova». La tecnica utilizzata per costruirla si chiama cut and cover, che come suggerisce il nome (“taglia e copri”) consiste nell’aprire un buco nella strada, scavare dall’alto e poi richiudere il tutto. È una tecnica che fa procedere rapidamente i lavori ma è anche molto invasiva, e comporta un’occupazione di suolo pubblico più ampia rispetto agli scavi eseguiti con grandi frese meccaniche sottoterra, le cosiddette “talpe”.

Piazza Duomo sventrata durante i lavori per la M1 (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Redazione IL POST

 

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