In alcune regioni il reddito di cittadinanza sta rientrando dalla finestra

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Una ragazza durante una manifestazione a Roma contro l'abolizione del reddito di cittadinanza, a marzo del 2023 (Roberto Monaldo / LaPresse)

Al sud ci sono diverse proposte e provvedimenti per introdurre sussidi regionali simili, dopo l’abolizione decisa dal governo Meloni

Alcune regioni italiane stanno cercando di reintrodurre alcuni sussidi regionali simili al reddito di cittadinanza, dopo che la sua abolizione ha penalizzato in modo particolare alcune regioni del sud dove i percettori erano moltissimi. I sussidi per le persone che si trovano in condizione di povertà che il governo di Giorgia Meloni ha introdotto al suo posto – l’assegno di inclusione (ADI) e il supporto per la formazione e il lavoro (SFL) – hanno requisiti più stringenti e hanno quasi dimezzato le persone che ne beneficiavano: se nei momenti di massima diffusione del reddito di cittadinanza ci sono stati anche 3 milioni di beneficiari, secondo gli ultimi dati dell’INPS a giugno le due misure coinvolgono oggi in totale 1,8 milioni di persone.

Come ha ricostruito Repubblica alcune regioni stanno riproponendo misure che avevano in passato, come Puglia e Sardegna, mentre altre stanno proprio cercando di introdurne delle nuove coi fondi regionali, come Campania e Sicilia. L’obiettivo sarebbe proprio quello di coinvolgere di nuovo nella rete dell’assistenza chi è stato escluso dagli attuali sussidi.

Alle misure regionali potrebbero cioè fare domanda anche coloro che il governo considera “occupabili”: sono le persone tra i 18 e i 59 anni che non hanno a carico minori, disabili o anziani, e che per questo sono considerati nelle condizioni di poter trovarsi un lavoro e quindi esclusi dall’attuale sussidio più consistente, cioè l’ADI.

Attualmente gli “occupabili” possono accedere solo a uno dei due strumenti nazionali in vigore, cioè il supporto per la formazione e il lavoro (SFL): è un sussidio di 350 euro al mese per un anno e non rinnovabile, durante il quale si devono seguire corsi di formazione orientati all’inserimento lavorativo. Chi invece non è “occupabile” può fare domanda per l’ASI, più generoso e sostanzialmente identico al vecchio reddito di cittadinanza.

Secondo gran parte degli esperti di lotta alla povertà il problema dell’SFL è che è improbabile che agevolerà la ricerca di un lavoro a chi lo riceve, col risultato che non riuscirà a tirare fuori dalla povertà i beneficiari. Mentre secondo il governo l’unico requisito per poter lavorare è quello anagrafico e familiare, nella realtà poi le persone che si rivolgono alla rete di assistenza si ritrovano ai margini della società per via di storie lavorative complicate, un basso livello di istruzione e una conseguente scarsa appetibilità sul mercato del lavoro. Per questo molte persone rischiano di rimanere comunque senza lavoro al termine dell’anno in cui è prevista l’erogazione dell’SFL, che è piuttosto esiguo.

In più per ora hanno fatto domanda per l’SFL pochissime persone rispetto alla platea potenziale, secondo alcuni per via del carico burocratico non indifferente: rispetto ai 377mila occupabili stimati dal governo hanno avuto accesso finora 96mila persone.

È per questo che alcune regioni stanno cercando di reintrodurre un sussidio a livello regionale che possa sia colmare la restrizione negli strumenti nazionali, sia garantire a chi la propone una certa popolarità.

In Puglia la giunta di Michele Emiliano, di centrosinistra, ha rifinanziato con i fondi europei fino al 2027 il cosiddetto reddito di dignità, un contributo mensile di 500 euro per chi ha un reddito annuo sotto i 9.360 euro e altri requisiti sostanzialmente identici a quelli del reddito di cittadinanza (a cui però era alternativo, quando quest’ultimo era ancora in vigore). La Sardegna ha poi rifinanziato il reddito di inclusione sociale della regione, con 30 milioni di fondi europei: il rifinanziamento era già stato disposto dalla giunta di centrodestra di Christian Solinas prima delle elezioni regionali di febbraio; è stato confermato poi dalla giunta di centrosinistra di Alessandra Todde, che ha accelerato le procedure per avviare l’erogazione.

Nei mesi scorsi in Campania e in Sicilia sono state depositate due proposte di legge regionale per l’introduzione di un sostegno al reddito molto simile al vecchio reddito di cittadinanza.

La proposta campana è stata avanzata in primavera dai consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle Gennaro Saiello, Michele Cammarano e Vincenzo Ciampi, per una platea potenziale di 250mila persone escluse dall’attuale assegno di inclusione. Alla presentazione della proposta erano presenti anche il capo del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e altri esponenti del partito che nel 2018 introdusse proprio il reddito di cittadinanza. A inizio giugno in Sicilia la deputata di Forza Italia del’Assemblea Regionale Siciliana Luisa Lantieri ha presentato una proposta molto simile, per l’introduzione di un «reddito regionale di cittadinanza».

Non è ancora chiaro esattamente se le due proposte saranno approvate: il Movimento 5 Stelle è all’opposizione della giunta regionale campana, espressione del centrosinistra, mentre Forza Italia è uno dei partiti storicamente più popolari in Sicilia.

Redazione IL POST

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