Cosa ce ne facciamo di quelle case rosse ai lati delle strade

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Una casa cantoniera abbandonata sulla strada statale 71, che va da Montefiascone a Ravenna (Gianluca Caramelli, Facebook)

In passato le case cantoniere ospitavano gli operai manutentori, oggi non vengono usate quasi più e non sappiamo neanche quante siano esattamente

Nel tempo libero Gianluca Caramelli percorre le strade statali e provinciali della Toscana in moto. Lungo il tragitto, gli capita spesso di fermarsi a fotografare le case cantoniere, cioè quegli edifici rosso scuro che si trovano sul ciglio della strada. A volte sono in ottime condizioni, altre sono abbandonate, con l’intonaco scrostato o coperto dall’edera. Possono essere molto grandi, o piccole ed essenziali; si trovano sui promontori a picco sul mare, in montagna, nell’entroterra e intorno alle città. Può capitare più frequentemente di notarle viaggiando in autostrada, ma in realtà si trovano in tutte le strade provinciali, regionali e statali d’Italia.

Caramelli, insieme a decine di altri appassionati, le fotografa e poi pubblica le immagini sulla pagina Facebook “Strade, case cantoniere e pietre miliari”, di cui è amministratore, indicando sempre non solo la località ma anche il chilometro esatto della strada in cui si trovano.

Le case cantoniere esistono da secoli. Furono costruite per ospitare i cantonieri, ossia gli addetti alla manutenzione delle strade, ma oggi vengono usate per molti scopi diversi: in alcune abitano ancora i dipendenti dell’Anas, la società statale che gestisce buona parte delle strade italiane, ma la maggior parte è abbandonata o è stata riqualificata. Alcune sono usate come magazzini per il materiale necessario alla manutenzione delle strade, altre ospitano associazioni del terzo settore, ristoranti o alberghi e altre ancora sono state vendute all’asta e quindi sono diventate beni privati. Anche la gestione è frammentata: le case cantoniere sulle strade statali sono considerate beni del demanio e sono quindi di competenza dell’Anas, che è una società per azioni di proprietà dello Stato, mentre quelle sulle strade regionali o provinciali sono state cedute alle regioni o ad altri enti locali, che le gestiscono in modo autonomo.

La storia dei cantonieri e delle case cantoniere è stata ricostruita dall’antropologo sardo Sergio Contu nel saggio Le case rosse, pubblicato nel 2021 sulla rivista culturale Medea. Il ruolo del cantoniere nacque nella prima metà dell’Ottocento, quando Giovanni Antonio Carbonazzi, un ingegnere al servizio dei Savoia, fu inviato in Sardegna per studiare come migliorare la viabilità stradale sull’isola. Carbonazzi propose, tra le altre cose, di affidare la manutenzione e la sorveglianza delle strade a operai qualificati: qualche anno dopo fu istituito il primo corpo di operai specializzati. Contu spiega che il termine cantonieri prende spunto dalla parola provenzale canton, usata per riferirsi a un tratto di strada lungo 3 o 4 chilometri.

Dopo l’Unità d’Italia, nel 1861, la professione del cantoniere iniziò a diffondersi in tutto il paese. Un regio decreto del 1874 richiedeva ai cantonieri di essere presenti sul tratto di strada assegnato loro tutti i giorni, dall’alba al tramonto, per fare le riparazioni necessarie: «Nonostante poi qualsiasi intemperia il cantoniere non deve abbandonare il tratto di strada affidatogli, ma ricoverarsi nel più prossimo luogo per riprendere il lavoro appena lo potrà e per accorrere ad ogni bisogno».

Una casa cantoniera sulla strada statale 12 dell’Abetone e del Brennero (Gianluca Caramelli, Facebook)

Le prime case cantoniere furono costruite a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento: venivano date come alloggio di servizio ai cantonieri e alle loro famiglie, ma un locale (una camera di giorno, e la scuderia di notte) doveva sempre rimanere a disposizione dei «viandanti a piedi o a cavallo» che avessero bisogno di un luogo dove riposare. La costruzione continuò anche durante il ventennio fascista, e nel 1938 furono censite 1.365 case cantoniere che offrivano in totale 2.341 alloggi: erano ormai diventate una «riconoscibile, specifica e capillare presenza dello Stato localizzabile anche nel più sperduto angolo del territorio nazionale», scrive Contu.

L’Azienda nazionale autonoma delle strade (Anas) venne istituita nel 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nei decenni successivi la gestione delle operazioni di manutenzione stradale fu rivista, e all’inizio degli anni Ottanta il sistema inizialmente basato sul lavoro diffuso di centinaia di cantonieri venne riorganizzato e aggregato attorno ad alcuni centri di manutenzione. Oggi il cantoniere esiste ancora, ma i lavori sono affidati a squadre che si occupano di tratti di strada ben più lunghi rispetto a quelli originari, di circa 50 chilometri. Per questo, negli ultimi decenni molte case cantoniere sono state dismesse perché non più sfruttate come abitazioni dai lavoratori.

Il loro tipico colore rosso pompeiano fu reso obbligatorio nel 1934, come ricostruito da alcuni ricercatori dell’università Sapienza di Roma. Hanno piante, forme e superfici molto diverse tra loro, in base all’uso che se ne doveva fare e alla zona in cui si trovano: generalmente però si sviluppano su almeno due piani e hanno un giardino, ma possono essere anche molto grandi e ospitare più appartamenti.

Nel 2000 l’Anas trasferì la gestione di molte strade, e delle relative case cantoniere, direttamente alle regioni o agli enti locali competenti. Per questo oggi non sappiamo esattamente quante case cantoniere ci siano in Italia: l’Anas ne controlla 1.244, ma a queste vanno aggiunte tutte quelle sulle strade non statali, gestite dalle regioni o da altri enti locali. Non esiste un database che metta insieme tutte le case cantoniere, ma su Facebook l’amministratore della pagina “Case cantoniere Italia” aggiorna regolarmente una mappa con le case di cui è a conoscenza, e che quindi può dare un’idea di quante siano effettivamente.

Chi ha vissuto in una casa cantoniera ne conserva un buon ricordo. Francesco Leo, per esempio, ha lavorato come cantoniere a Predazzo, in provincia di Trento, tra il 2016 e il 2020. Per due anni ha abitato nella casa che gli era stata data come alloggio di servizio: «Era una villa, bellissima e spaziosa: la parte sopra era tutta in legno, ed era proprio davanti al bosco». Come da prassi, Leo doveva occuparsi di fare piccoli lavori di manutenzione e pagare le bollette, ma non pagava nessun affitto. Da quando se n’è andato, poco prima dell’inizio della pandemia di Covid, l’appartamento è rimasto vuoto.

Mauro Mariangioli è nato nel 1960 nella casa cantoniera di San Godenzo, in provincia di Firenze, e si è poi spostato in quella di Tavarnuzze, una frazione del comune di Impruneta, sempre in Toscana, dove è rimasto fino al 1988. Ci abitava perché suo nonno faceva il cantoniere, e quindi la casa gli spettava da contratto, mentre lui ha lavorato per 26 anni all’Anas, non nella manutenzione ma negli uffici. «In origine le case cantoniere dovevano essere autonome: per questo molte hanno un orto, un forno, un pozzo e altri servizi accessori. Servivano anche per dare accoglienza ai viandanti», racconta. «Sono case normali, a parte il colore». Oggi la casa cantoniera di Tavarnuzze è di proprietà della regione Toscana, che l’ha messa all’asta ma non ha ancora trovato un acquirente.

La casa cantoniera di Tavarnuzze, di proprietà della Regione Toscana ma ora in disuso (Gianluca Caramelli, Facebook)

I cantonieri hanno diritto ad abitare in una casa cantoniera fino alla pensione, ma poi devono liberare l’alloggio: è un problema che costringe intere famiglie a traslocare dopo aver vissuto nella stessa casa per anni, lasciandola in molti casi vuota. È successo per esempio a Pompeo Cafiero, che ha vissuto dalla nascita e per quasi quarant’anni in una casa cantoniera gestita dall’Anas a Sapri, in provincia di Salerno, al confine tra Campania e Basilicata. Cafiero ha cercato di acquistare l’immobile dall’Anas, ma gli è stato negato. «È un tasto dolente: siamo rimasti per qualche anno dopo la pensione di mio padre, ma poi abbiamo dovuto cambiare casa», dice. «Dal 2015, quando ce ne siamo andati, non è più stata abitata».

Cafiero spiega che la casa di Sapri si trova «in una posizione invidiabile», proprio di fronte al mare, e ha due piani: a quello superiore c’era l’appartamento per i cantonieri, mentre da qualche anno al piano inferiore è attivo un centro operativo per i dipendenti dell’Anas che si occupano di manutenzione stradale nella zona. Ci sono anche un garage, una veranda, una mansarda e un giardino. «Oggi quando viaggio le case cantoniere mi saltano sempre all’occhio: le più belle sono quelle in Puglia», dice Cafiero.

Giordano Niccolò invece è riuscito a comprare all’asta la casa cantoniera di Livergnano, in provincia di Bologna, dopo averci abitato per anni pagando una sorta di affitto. Niccolò infatti lavorava all’Anas, ma come geometra: i cantonieri hanno diritto alla casa a titolo gratuito, mentre gli altri dipendenti dell’azienda possono chiedere di abitarci pagando un canone annuo. Dopo averla acquistata Niccolò l’ha ristrutturata, ma ha voluto mantenere il colore rosso pompeiano originale.

Una casa cantoniera vicino a Sansepolcro (Arezzo) (Gianluca Caramelli, Facebook)

A differenza di quelle gestite dalle regioni, le case cantoniere di competenza dell’Anas sono considerati beni demaniali, cioè di proprietà dello Stato, e quindi non possono essere vendute ai privati ma solo date in concessione (come le spiagge). Dato che non può venderle, e che quelle abitate dai dipendenti sono sempre meno, negli ultimi anni l’Anas sta cercando di riqualificare le 1.244 case cantoniere che gestisce. Al momento 544 sono usate come sedi operative per le squadre oppure come magazzini per conservare gli strumenti utili nelle attività di manutenzione delle strade. Le altre invece sono in gran parte abbandonate, ma potrebbero essere assegnate tramite concessioni ad associazioni o enti locali.

Nel 2021 l’Anas aprì un bando per assegnare 100 case cantoniere su tutto il territorio nazionale e trasformarle in ristoranti, centri informativi e didattici, alberghi, centri per il noleggio di auto o biciclette e altro ancora. L’azienda ha detto che al momento sono state consegnate 11 case cantoniere (ma due aggiudicatari hanno poi rifiutato), e sono in corso trattative con una decina di enti interessati ad aggiudicarsi una o più concessioni. Nel 2016 fu attivato un altro bando simile, relativo a 30 case cantoniere della rete Anas.

Per ora però i progetti di riqualificazione terminati sono pochi. Tra questi c’è la casa cantoniera a Limone sul Garda, in provincia di Brescia, che è stata ristrutturata e dallo scorso 2 febbraio ospita la nuova sede della Croce Bianca. Dal novembre del 2022 inoltre la casa di Acquabona, una frazione del comune di Cortina d’Ampezzo (Belluno), viene usata sia come sede della Fondazione Dolomiti Unesco che come sala operativa dell’Anas.

Anche le regioni hanno attivato alcuni progetti di riqualificazione. Il Lazio, in particolare, ha riunito in un sito tutte le case cantoniere di sua proprietà, indicando quali sono libere e quali sono già state assegnate. Un esempio è la cantoniera al chilometro 11 della via Tuscolana, nella periferia a sudest di Roma, che oggi è utilizzata come sede dalla sezione locale dell’Associazione nazionale vigili del fuoco in congedo.

Vincenzo Armentano, il segretario della sezione, spiega che il bando per l’assegnazione è del 2016 e consiste in un affitto di sei anni rinnovabili per altri sei anni, quindi fino al 2028. La ristrutturazione dell’immobile, prevista dall’accordo, è stata gestita interamente dai volontari dell’associazione: «L’unica cosa che non abbiamo toccato sono i pavimenti. La casa era agibile, ma era abbandonata da molto tempo», dice Armentano. L’ultimo intervento, la riverniciatura della struttura, è stato completato l’anno scorso, e oggi l’ex casa cantoniera viene usata come sede per organizzare corsi di formazione sulla sicurezza, per esempio sulle misure antincendio o di primo soccorso.

Secondo Mauro Mariangioli (il dipendente di Anas con il nonno cantoniere), la durata relativamente breve delle concessioni è un ostacolo alla loro riqualificazione, perché è difficile convincere un’associazione o un privato a investire sulla ristrutturazione di un edificio che poi potrebbe dover lasciare nel giro di pochi anni. «Spero che prima o poi il governo decida cosa vuole fare con queste case, che sono anche beni storici», dice.

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