La Rossini, con le uova sode e la maionese, esiste solo nella città marchigiana e nei suoi dintorni, dove è amata da decenni
«Quando invito degli amici a casa per una pizza e mi accorgo di non avere la maionese e le uova, be’, è un bel guaio: devo inventarmi uno stratagemma, farmeli prestare o ritardare l’appuntamento per andare a comprare tutto l’occorrente al supermercato», dice Andrea Petreti, un ragazzo nato e cresciuto a Pesaro, nelle Marche. Una persona che ha poca familiarità con la cultura gastronomica pesarese potrebbe considerare queste premure blasfeme, o quantomeno eccentriche. Eppure, racconta Petreti, «a Pesaro la pizza si mangia soprattutto in questo modo: uova sode e maionese. A cena, per merenda, addirittura a colazione».
Questa combinazione è alla base della cosiddetta Rossini, una pizza di cui è impossibile stabilire le origini ma che, secondo alcune fonti (soprattutto le pagine iniziali dei menù delle pizzerie pesaresi, che spesso contengono cenni storici), cominciò a essere servita in una pasticceria di Pesaro, il bar Montesi, negli anni Sessanta, inizialmente per accompagnare gli aperitivi.
È dedicata al compositore pesarese Gioachino Rossini, che oltre ad aver composto alcune delle opere buffe più famose della storia era un abile cuoco e un cultore di ingredienti ricercati, che spesso importava in Italia dopo le sue lunghe tournée all’estero: gli vengono attribuite diverse ricette, come per esempio quella dei maccheroni conditi con funghi, tartufo, pomodoro, prosciutto crudo, panna e champagne, che vengono definiti per l’appunto maccheroni alla Rossini.
Negli ultimi decenni, anche per via del prestigioso nome che porta, la pizza Rossini ha acquisito un’importanza così simbolica e “identitaria” per Pesaro da essere riproposta in moltissime varianti, come quelle che prevedono l’aggiunta di alici, stracciatella, salsiccia (diventa la Rossiccia) o olive. Le pizzerie fanno molto spesso la maionese da sé, e talvolta si sbizzarriscono nel disporla sulla pizza, sviluppando dei motivi e delle forme che le distinguano.
Petreti racconta che la Rossini «è molto gettonata anche per le colazioni salate, nella forma di pizzetta», e anche come merenda per gli studenti. «Quando esco da Pesaro, mi rendo conto che questa combinazione è considerata una iattura dalla maggior parte delle persone con cui parlo, che mi guardano come se fossi un alieno. Eppure, per me è il contrario: una pizza senza maionese proprio non la concepisco». Addirittura, dice ancora Petreti, la Rossini è percepita come un abominio non soltanto al di fuori delle Marche, ma anche in posti che si trovano a pochi chilometri di distanza da Pesaro. «Anche nel sud delle Marche, se metti la maionese nella pizza, sei guardato come un extraterrestre».
In realtà, non è facile stabilire con precisione quanto sia esteso il territorio entro il quale la pizza Rossini è una cosa normale. La si trova sicuramente in buona parte della provincia di Pesaro e Urbino, da Fano a Fossombrone, anche se man mano che ci si allontana da Pesaro scende generalmente di posizione nel menu. Addirittura sconfina in Romagna, visto che la si può trovare a volte anche a Cattolica, ma non più a nord. A sud, i confini della Rossini sembrano coincidere con Senigallia, dove è proposta da diverse pizzerie, ma non la si trova più spingendosi fino a Jesi o ad Ancona.
Come spesso accade in questi casi, l’eccezionalità degli ingredienti della Rossini suscita moti di indignazione tendenti al revanscismo in molte persone che hanno una visione piuttosto tradizionalista di come debba essere una pizza. La combinazione uova e maionese è presa spesso di mira soprattutto sui social, secondo un meccanismo noto e da tempo preso in giro per esempio dall’account @italians_mad_at_food (“italiani arrabbiati con il cibo”), che raccoglie i commenti schifati nei confronti di piatti percepiti come bizzarrie o veri abomini gastronomici.
Eppure, dice il pizzaiolo fanese Daniele Caggiano, «alla fine non è nulla di troppo sacrilego: si tratta di una margherita a cui, in uscita, vengono aggiunte delle fette d’uovo sodo e una generosa dose di maionese, spesso fatta in casa». E poi ci sono le varianti: «come pizzaiolo, la cosa bella è divertirsi con la maionese, scegliere di inserire delle varianti nella salsa, o di abbinarla a ingredienti ricercati. Utilizzando un verbo parecchio inflazionato, ci piace sperimentare, fare delle Rossini gourmet».
Parlando delle critiche con cui la Rossini viene spesso stigmatizzata sui social, Caggiano racconta che, nella sua carriera, gli è capitato di assaggiare pizze di tutti i tipi, da quella con l’ananas a quella con il melone, e che «bisognerebbe abituarsi al fatto che, alla fine, ognuno sulla pizza mette un po’ ciò che vuole: è una questione di cultura culinaria. In Italia tendiamo ad approcciare questi argomenti con un po’ di conservatorismo, anche perché siamo notoriamente molto orgogliosi della nostra cucina».
Eppure, dice ancora Caggiano, dato che praticamente tutte le combinazioni che in Italia consideriamo eccentriche si sono sviluppate in maniera totalmente slegata dalla tradizione italiana, «criticarle ha davvero poco senso. E lo stesso discorso vale per la Rossini, che peraltro è una pizza italiana».
Alberto Grandi, docente dell’Università di Parma e autore del libro La cucina italiana non esiste, oltre che del podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata, dice che quello della Rossini è un tipico caso di «invenzione della tradizione», ossia di creazione di una pietanza da zero, attorno alla quale poi viene costruito un certo storytelling (ossia una storia delle sue origini).
«Legare la pizza al nome di uno dei più celebri esponenti della cultura locale è un buon modo per renderla riconoscibile. In questo caso ancora di più, perché da ciò che sappiamo Rossini era un amante della cucina e del buon cibo», spiega. «L’ipotesi che Rossini abbia portato la maionese nella sua città natale dopo un concerto all’estero è molto suggestiva, ma ovviamente non abbiamo elementi per confermarla», dice ancora Grandi.
Secondo Grandi, un buon metro di paragone per spiegare il meccanismo che ha trasformato una pizza che fino a una sessantina d’anni fa non esisteva in un simbolo culinario di Pesaro è quello della carbonara. «A Roma viene presentata come un piatto della tradizione, eppure è una ricetta assolutamente americana, importata in Italia soltanto nella prima metà degli anni Cinquanta». Un altro esempio è quello della pinsa, che viene presentata spesso come un’antica pizza romana, ma che prima del 2001 non esisteva. Corrado Di Marco, imprenditore che proviene da una famiglia di fornai attivi fin da inizio Novecento, sostiene di averla ideata in quell’anno con tutte le caratteristiche che la distinguono.
Eppure, fino a un paio d’anni fa non era raro che la pinsa venisse presentata come una rivisitazione in chiave moderna di una ricetta antichissima, una specie di pane basso e duro usato come piatto che poi – una volta ammorbidito dal condimento messo sopra – veniva mangiato.
Anche se non si tratta di un piatto antico, la Rossini ha avuto un successo così grande da essere entrata a far parte della cultura gastronomica pesarese. Non esiste pizzeria che non ne proponga almeno la versione tradizionale che, dice l’autore pesarese Pier Mauro Tamburini, «di solito è la terza pizza che trovi sul menù», subito dopo la marinara e la margherita.
Matteo Ricci, sindaco di Pesaro dal 2014, ha creato diverse iniziative nel tentativo di fare della Rossini un marchio da esportare. Per esempio, da qualche anno in città viene organizzato «La Rossini», un festival interamente dedicato alla pizza con uova sode e maionese. Nel settembre dello scorso anno, per festeggiare la nomina di Pesaro come capitale italiana della cultura, è stata organizzata una maxi tavolata a base di pizza Rossini in viale della Repubblica, la strada principale.
Secondo Caggiano, probabilmente, uno dei motivi per cui i pesaresi amano così tanto la Rossini ha a che fare con l’infanzia: «è la pizza che mangiavi da piccolo a scuola, dopo una partita a calcio o in pizzeria con gli amici: inevitabilmente, quando cresci finisci per ricercare quei sapori. Ma questo accade con tutti i piatti di questo mondo, non soltanto con la Rossini». Quando mangiano la pizza in posti lontani da Pesaro, molti suoi amici chiedono spesso la maionese al cameriere, suscitando qualche sguardo meravigliato. «Quando cresci con un particolare sapore, diventa quasi una consuetudine, come farsi portare del parmigiano», dice.
di Redazione IL POST