Il Grande Torino era la squadra del futuro

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Ansa

Prima dell’incidente di Superga del 4 maggio 1949, in cui morirono quasi tutti i giocatori, dominò il calcio italiano degli anni Quaranta con un gioco modernissimo per l’epoca

Settantacinque anni fa, nel pomeriggio del 4 maggio 1949, l’aereo trimotore Fiat G.212 delle Avio Linee Italiane si schiantò contro il terrapieno che sostiene la Basilica di Superga, sulla collina che sovrasta Torino. Morirono tutte e 31 le persone a bordo, la maggior parte delle quali erano calciatori del Torino, la squadra che aveva vinto gli ultimi quattro campionati di calcio di Serie A. Il Torino stava rientrando da Lisbona, dove la sera prima aveva giocato un’amichevole contro i portoghesi del Benfica. Fu l’ultima partita giocata da quella squadra, e la fine di un periodo fin qui irripetibile per il Torino, che dal 1949 a oggi ha vinto solamente un altro Scudetto, nel 1976.

Quel Torino era già conosciuto, all’epoca, con il soprannome di “Grande Torino”, per via del suo dominio nel calcio italiano negli anni Quaranta, in particolare in quelli successivi alla fine della Seconda guerra mondiale. Era una squadra non solo vincente, ma decisamente moderna, che introdusse strategie e principi di gioco innovativi. Fu la prima in Italia, per esempio, ad applicare con successo il cosiddetto “sistema”, una tattica ideata dall’allenatore dell’Arsenal Herbert Chapman. Il sistema consisteva nello schierare la squadra con il modulo chiamato WM, cioè un modulo 3-2-2-3, con i cinque giocatori difensivi schierati approssimativamente a forma di W e i cinque giocatori offensivi schierati a forma di M.

La formazione titolare del Grande Torino

Nel Torino il sistema venne sviluppato e aggiornato dall’ungherese ed ebreo Erno Erbstein, che fu prima allenatore e poi direttore tecnico della squadra, sotto la presidenza dell’imprenditore Ferruccio Novo, che aveva acquistato il club nel 1939. Il fulcro di quel modo di giocare era il quadrilatero di centrocampo, che garantiva al Torino la superiorità in quella zona del campo, perché le altre squadre giocavano quasi tutte con tre mediani in una sorta di antesignano del 4-3-3 (quello del “metodo”, la tattica adottata dall’Italia campione del mondo 1934 e 1938).

Il Grande Torino, al contrario di quasi tutte le squadre più forti e riconoscibili del calcio italiano, era una squadra molto offensiva. Cercava sempre di controllare il possesso del pallone e alternava momenti di calcio orizzontale ad altri, più intensi, di ricerca insistente della verticalità. Erano famosi i “quarto d’ora granata”, periodi della partita in cui il Torino accelerava e cominciava a giocare su ritmi difficilmente pareggiabili dalle avversarie. La ricerca del possesso, della verticalità, il dominio del gioco attraverso i passaggi, il pressing per riconquistare palla: sono tutti concetti alla base del calcio contemporaneo e quel Torino, pur ovviamente con molte differenze, li applicava già negli anni Quaranta.

Nell’estate del 1942 arrivarono dal Venezia i due centrocampisti più offensivi del quadrilatero, Ezio Loik e Valentino Mazzola, che furono decisivi per far diventare il Torino una squadra vincente: il primo Scudetto arrivò nel 1943, insieme alla Coppa Italia (fu la prima squadra a fare la doppietta campionato-coppa), gli altri tra il 1946 e il 1949. Nel 1944 e nel 1945, per via della guerra, non si giocò invece un campionato italiano vero e proprio. Valentino Mazzola, padre di Sandro Mazzola (grande calciatore dell’Inter e dell’Italia negli anni Sessanta e Settanta), è considerato uno dei calciatori italiani più forti di sempre. Era quello che oggi verrebbe definito un “tuttocampista”, un giocatore in grado di essere determinante in molte zone del campo e fasi di gioco.

Valentino Mazzola aveva 30 anni quando morì nell’incidente di Superga (ANSA/ARCHIVIO)

Nella stagione 1946-1947, con 29 gol Mazzola fu il miglior marcatore di un campionato dominato dal Torino, che la squadra vinse con dieci punti di vantaggio sulla Juventus e segnando ben 104 gol in 38 partite. Nel 1947-1948 i gol fatti dal Torino furono addirittura 125 in 40 partite (quella Serie A si giocò con 21 squadre), tra i quali 25 di Mazzola e 23 dell’attaccante Guglielmo Gabetto. Il Torino vinse con 16 punti di vantaggio su Milan, Juventus e Triestina: tantissimi, considerando che all’epoca le vittorie valevano 2 punti e non 3, come oggi. In quella stagione la squadra ottenne anche quella che rimane tutt’oggi la vittoria con il più largo scarto della storia della Serie A: 10-0 contro l’Alessandria, il 2 maggio 1948.

Nel 1949 arrivò l’ultimo dei cinque scudetti consecutivi, anche se le ultime quattro partite vennero giocate dai calciatori delle giovanili, dopo l’incidente di Superga. Il Grande Torino rimase nell’immaginario collettivo italiano come una delle squadre più entusiasmanti e apprezzate anche dai tifosi avversari, nonostante non avesse mai giocato coppe europee (la Coppa dei Campioni e la Coppa delle Fiere cominciarono negli anni ’50). Nel 2015 la Fifa istituì per il 4 maggio la giornata mondiale del calcio proprio in memoria di quella squadra.

Redazione IL POST

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