La storia di In Galera, il primo ristorante al mondo aperto dentro un carcere

Un documentario di Michele Rho racconta la bella realtà di Bollate

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Dagli orti nelle carceri curati dai detenuti, con i prodotti che poi possono essere venduti all’esterno, al successo del ristorante In Galera dove lavorano i detenuti del penitenziario di Bollate aperto a tutti.

La cucina si fa sociale e diventa strumento di riscatto e possibilità di lavoro per i detenuti.  Si intitola Benvenuti in galera, il documentario di Michele Rho sul primo ristorante al mondo aperto dentro un carcere, fondato da Silvia Polleri, una produzione WeRock in uscita in sala.

“Benvenuti In Galera” è il documentario che condivide la straordinaria storia di In Galera, il primo ristorante al mondo situato all’interno di un carcere, “gestito – racconta Rho –  interamente dai detenuti (di varie condanne) sotto la supervisione di una donna tenace… mia madre… Questo ristorante di alta classe (e progetto sociale) è aperto a tutti. I camerieri indossano divise, e lo chef ha studiato nella scuola di Gualtiero Marchesi. Il mio obiettivo non era raccontare solo la storia di un ristorante eccezionale né, naturalmente, la storia di mia madre. Nei miei documentari ho sempre cercato di indagare luoghi che mi offrissero tematiche stimolanti di riflessione. Così, il ristorante stesso è diventato una lente speciale attraverso cui esplorare il mondo del carcere. Credo che di questi tempi sia sempre più importante parlare e discutere di carcere, confrontarci su un tema di estrema attualità. Mi sono avvicinato al progetto chiedendomi come i detenuti percepiscano il mondo esterno, come si sentano, che cosa provino. Pensandoli dunque come esseri umani, al di là della colpa che hanno commesso. Tutto questo sempre e comunque nel rispetto e attenzione delle vittime delle loro azioni. Il documentario, girato nell’arco di tre anni a causa della pandemia da COVID-19, mi ha permesso di seguire da vicino e conoscere questi ragazzi nei loro percorsi di riabilitazione. Alcuni di questi si sono conclusi positivamente, mentre altri no. Ma questo non è il punto del mio lavoro. A me interessano le storie. La storia di Davide, di Said, di Jonut, di Chester, di Domingo… uomini che hanno commesso errori e che stanno cercando una seconda possibilità dalla vita, molti di loro attraverso il lavoro. Ed è proprio il lavoro che diventa la chiave di tutto, per evitare il carcere, per essere accettati nuovamente dalla propria famiglia ed evitare di tornare alle attività criminali. Durante questo percorso ho incontrato moltissima umanità e ho capito quanto poco conoscevo e comprendevo il carcere e la vita dentro il carcere, perché la osservavo da fuori. È un piccolo cambio di prospettiva, ma determinante. Il documentario ha un tono agrodolce e volutamente non vuole “giocare” con il dramma. I detenuti sono esseri umani e la leggerezza rende la punizione più sopportabile. Anche dal punto di vista visivo, ho cercato in ogni modo di evitare quell’immagine triste e squallida della prigione che incontriamo in molti film sul carcere. La prigione è squallida ma dipende da che punto di vista la guardi. Qui si parla di redenzione, di seconda possibilità. Un elegante bianco e nero, mi è sembrata la scelta necessaria per dare dignità a queste storie così intime e personali. Quindi, Benvenuti in galera, dove la parola “Benvenuti” è un benvenuto per tutti voi per conoscere meglio e non avere paura o diffidenza quando vedete un detenuto o entrate un istituto di pena.
“Il cibo è uno dei settori lavorativi su cui siamo impegnati come formazione”, ha osservato Diana De Marchi, consigliera delegata alle Politiche sociali della Città Metropolitana di Milano al convegno I Girasoli d’Inverno.
“Il ristorante ‘In Galera’ é un esempio non solo di reinserimento lavorativo ma di alta formazione professionale e continua ad essere uno dei tasselli di collegamento con la comunità esterna – ha spiegato Giorgio Leggieri, direttore del carcere di Bollate -. Il lavoro è fondamentale, non è solamente un impegno di tempo ma anche una assunzione di responsabilità. Rappresenta anche una prevenzione sui rischi di disagio, si parla molto di rischio di suicidio, di autolesionismo, un tema che dobbiamo affrontare. Il lavoro continua a essere fondamentale come strumento di prevenzione”. Coldiretti ha invece una serie di progetti per la formazione dei detenuti e per favorire “anche un reinserimento nel comparto agricolo e nelle filiere agroalimentari”, come ha spiegato il presidente Ettore Prandini. Riscatto dei detenuti con il lavoro non solo in ambito food come dimostra il progetto di Trenitalia che ha assunto a tempo determinato i detenuti per lavorare nelle strutture tecnico operative. “Sono ancora detenuti e sono stati assunti con un tempo determinato, sono attualmente inseriti in due impianti di manutenzione a Milano sia dell’alta velocità che dell’intercity. Supportano i colleghi in attività di gestione tecnica dell’impianto, attività che li ha resi operativi nel corso di due settimane”, ha spiegato Stefano Conti, responsabile Risorse umane e organizzazione di Trenitalia.

Redazione Ansa

 

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