Report della Cei, tutti i dati sui casi presunti. Zuppi, ‘la Chiesa non insabbia’. La Rete L’Abuso boccia la rivelazione della Cei: dati non verificabili
Ci sono anche due bambini sotto i 4 anni tra le presunte vittime di pedofilia segnalate nel 2022 alle diocesi italiane.
La maggior parte sono comunque minorenni: 35 sulle 54 vittime presunte.
Metà delle molestie o violenze avviene nei locali delle parrocchie ma non mancano i casi in cui il rischio si annida in altri luoghi, dalla scuola al campeggio parrocchiale, dall’evento diocesano alla riunione del movimento o dell’associazione.
Sono alcuni dei dati contenuti nel report che la Conferenza episcopale italiana ha presentato oggi ad Assisi, al termine dell’assemblea generale straordinaria dei vescovi. La questione degli abusi è stata infatti uno dei temi della tre-giorni dei vescovi italiani e, nel corso dei lavori, è stata anche ascoltata la video-testimonianza di una delle presunte vittime.
I dati – 54 vittime e 32 abusatori – si riferiscono a casi presunti, segnalati lo scorso anno ma che fanno riferimento soprattutto al passato perché spesso ci vuole tempo per elaborare quanto si è vissuto per arrivare alla denuncia, come spiegano gli esperti della Cei.
La Chiesa italiana dunque procede nella strada intrapresa: quella di volere fare trasparenza sugli abusi con rilevazioni interne, senza ricorrere però a commissioni esterne e indipendenti, come invece hanno scelto altre conferenze episcopali in Europa e nel mondo. Ma il cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, sottolinea come dei passi avanti importanti siano stati fatti.
E’ difficile, per esempio, oggi parlare di coperture, secondo quanto detto dallo stesso arcivescovo di Bologna. “E’ difficile che oggi uno insabbi. Ci può essere, ed è quasi un pericolo maggiore, una valutazione non oggettiva. Oggi ci sono tanti meccanismi” per fare emergere i casi di abusi come “le linee guida e l’attenzione della Santa Sede”. “Se devo parlare della mia categoria – ha detto Zuppi riferendosi ai vescovi – il rischio vero è quasi il contrario, che per prudenza possiamo avviare dei procedimenti giuridici anche soltanto per una verifica”.
E poi c’è una Chiesa che ascolta tutti, senza porre limiti di tempo: “La prescrizione, nella Chiesa, non c’è. Chiunque, anche a distanza di anni, viene ascoltato. Facciamo sempre un procedimento interno. In molti casi non c’è il rimando al penale per la scadenza dei termini. Ma per noi no”, non c’è scadenza, ha sottolineato Zuppi.
Parole che evidenziano i passi in avanti di una Chiesa che da anni è sul banco degli imputati. Ma allo stesso tempo i casi, nelle loro modalità, evidenziano che la piaga non è affatto sanata. Pesano poi quelle quaranta diocesi italiane che non hanno attivato nessun centro di ascolto o di assistenza per le vittime.
Tra i presunti abusatori, tutti uomini ad eccezione di un caso, figura una tripartizione delle categorie che vivono nella Chiesa: un terzo sono sacerdoti, un terzo religiosi e un altro terzo laici impegnati nel catechismo, nell’insegnamento della religione o nella pastorale dei ragazzi. La maggior parte delle vittime sono invece bambine o ragazze (44) rispetto ai ragazzi (10).
La Rete L’Abuso boccia la rivelazione della Cei: “Oltre a non denunciare i casi alle autorità civili, non fornisce alcun dato su fatti luoghi ecc. e di conseguenza è inverificabile”, sottolinea l’associazione. Quanto ai dati, sono “decisamente meno delle segnalazioni pervenute alla Rete L’Abuso durante lo stesso anno”. “Bla, bla, bla”, commenta in sintesi la Rete l’Abuso.
Redazione Ansa