Il processo a Roma per una grande truffa immobiliare di oltre dieci anni fa

Un consorzio di quattro cooperative promise appartamenti che non vennero mai costruiti, e 500 persone persero migliaia di euro

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(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Tra il 2010 e il 2012 in alcuni circoli ricreativi aziendali (CRAL) a Roma furono organizzate riunioni con i rappresentanti di un consorzio di quattro cooperative edilizie che cercavano di vendere appartamenti in diverse zone di Roma. I circoli appartenevano a grosse società energetiche come Acea ed Eni, all’azienda di raccolta dei rifiuti Ama, a Lottomatica, a Ferrovie dello Stato, all’IBM e persino alla Guardia di Finanza e alla Polizia.

«Vennero a proporci di acquistare delle case a prezzi vantaggiosi in palazzi che dovevano costruire, in cambio avremmo dovuto versare una quota di associazione alla cooperativa e un anticipo dell’acquisto» raccontò Francesca, una delle persone che accettarono la proposta di acquisto. I prezzi erano molto concorrenziali, partivano da 2.100 euro al metro quadrato. Aderirono circa 500 persone che pagarono 9mila euro per associarsi a una delle quattro cooperative. Alcune versarono fino a 27mila euro. Le case però non vennero mai costruite e i soldi non furono mai restituiti.

Al tribunale di Roma questa settimana sta proseguendo il processo a sette persone per questa truffa, iniziato circa un anno fa. Tra loro ci sono i fondatori e i dirigenti del consorzio, che faceva capo a una cooperativa chiamata “Castore e Polluce”. Sono tutti imputati per associazione a delinquere.

L’inchiesta partì nel 2015 dopo una denuncia del comune di Roma. Già nel 2011, però, due architetti del Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune segnalarono «un’intensa attività di pubblicizzazione riguardo proposte di vendita di alloggi in edilizia agevolata con prezzi inferiori al valore medio di mercato, nel quadro di un progetto di finalità sociale attribuito» al comune, che «non ha mai adottato iniziative concrete in tal senso». La denuncia dei due funzionari non ebbe però alcun seguito. Il sindaco era Gianni Alemanno, ex deputato di Alleanza nazionale e, dal 2001 al 2006, ministro delle Politiche agricole e forestali in due governi di Silvio Berlusconi.

Nel 2008, appena insediato al Campidoglio, Alemanno fece approvare una delibera che permetteva di costruire su terreni agricoli se gli appartamenti fossero stati venduti a famiglie con redditi molto bassi. Le nuove norme prevedevano alcune deroghe al Piano regolatore che davano la possibilità di costruire in aree vincolate «per l’attuazione del piano comunale di housing sociale» e «per altri interventi di interesse pubblico». Una commissione formata dal direttore del Dipartimento di programmazione e attuazione urbanistica, dal direttore del Dipartimento patrimonio, mobilità, ambiente e riqualificazione delle periferie e dal direttore dell’Ufficio per le politiche abitative fu incaricata di valutare i progetti.

Furono presentate 334 richieste e la commissione ne accolse 167. In totale, si sarebbe potuto costruire su 2.380 ettari di terreni agricoli. Il consorzio diretto dalla cooperativa Castore e Polluce utilizzò proprio quella delibera per progettare la costruzione di nuovi palazzi su aree agricole nella periferia di Roma, in particolare a Tor Vergata, nella zona orientale della città. Il provvedimento fu molto contestato dalle associazioni ambientaliste e dai partiti dell’opposizione. Legambiente presentò un rapporto intitolato “Vita agra per l’Agro romano”, in cui denunciò il rischio di cementificazione del 3,7 per cento della campagna che costituisce il 44 per cento del territorio della città e rende Roma una delle città più verdi d’Europa.

Per questo quando nel 2013 cambiò la giunta il nuovo sindaco Ignazio Marino, del Partito Democratico, revocò la delibera di Alemanno e i 167 permessi di costruire su terreni agricoli. Le cooperative però continuarono a chiedere soldi ai futuri acquirenti, in diversi momenti, circa 1.500 euro a volta e poi fino a 6mila euro, per accaparrarsi gli appartamenti migliori che venivano mostrati su carta o a volte su un plastico.

Mercoledì il Corriere della Sera ha dato conto dell’inizio del processo, intervistando anche una delle vittime della truffa, rimasta anonima. «Ci mostravano i terreni, ci facevano scegliere i materiali, attivare le pratiche di mutuo con banche convenzionate» ha detto. «Cambiarono le sigle delle coop e il luogo di edificazione, poi scoprii che a me e al mio collega era stato assegnato lo stesso attico con vista sui Castelli Romani e mi insospettii. Loro già non rispondevano più al telefono».

A maggio del 2015 il presidente della cooperativa Castore e Polluce Fabio Fusaroli, parlando con un giornalista della trasmissione televisiva Le Iene che aveva un microfono nascosto, disse di aver pagato tangenti a un politico romano di cui venne oscurato un nome. I magistrati indagarono l’ex consigliere comunale di Forza Italia e all’epoca capogruppo del Popolo della Libertà alla Regione Lazio, Luca Gramazio. Gramazio è figlio dell’ex parlamentare Domenico, un personaggio molto noto nella destra romana, e venne poi arrestato nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta “Mafia capitale”. Nel 2021 è stato condannato in appello a cinque anni e sei mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici (significa che non potrà avere più cariche pubbliche).

Sempre nel 2015 l’allora assessore alla Trasformazione urbana Giovanni Caudo, docente di Progettazione urbanistica all’Università Roma Tre, incontrò alcune delle persone truffate. «Il piano del consorzio di cooperative era stato presentato e pubblicizzato in contesti come il CRAL dell’Acea [l’azienda che gestisce i servizi idrici partecipata dal comune, ndr] anche tramite circolare, il che segnala come si fosse messa in moto un’attività collusiva tra dimensione politica e tecnica che abbiamo cancellato abolendo la delibera», disse in una conferenza stampa. Subito dopo presentò una denuncia alla procura, che aprì l’inchiesta che ora è arrivata al processo.

Tuttavia i reati di appropriazione indebita e di truffa sono già prescritti perché sono trascorsi più di dieci anni dai fatti, e lo stesso vale per gli illeciti tributari, che si prescrivono dopo sei anni. Gli avvocati hanno avvisato le persone truffate che sarà molto difficile riavere indietro i soldi versati. Nel 2016 i magistrati avevano sequestrato cinque milioni di euro al consorzio guidato dalla cooperativa Castore e Polluce, ma nel frattempo tutti i conti correnti erano stati svuotati.

Redazione Il Post

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