Novità sulle pensioni, in particolare per agevolare l’uscita dal lavoro delle donne. Tra le ipotesi di modifica del sistema previdenziale con la legge di Bilancio spunta l’Ape sociale agevolata per le donne con la possibilità di ricevere l’indennità di accompagnamento verso la pensione a partire dai 61/62 anni invece dei 63 previsti attualmente. Secondo quanto si apprende, si valuta l’introduzione di un ulteriore vantaggio nella contribuzione per accedere alla misura in favore delle donne con una situazione di disagio: licenziate, con invalidità almeno al 74%, caregiver o impegnate in lavori gravosi.
Questa si aggiungerebbe allo sconto già in vigore di un anno per ogni figlio, possibile fino a un massimo di due anni.
Come accedere alla misura
Per accedere alla misura bisogna aver maturato 30 anni di contributi nel caso di persone licenziate, con invalidità pari almeno al 74% e care givers che scendono a 28 per le donne con due figli, Nel caso di lavoratori impegnati in lavori gravosi (per almeno sei anni negli ultimi sette o sette anni negli ultimi 10 di lavoro) gli anni di contributi necessari sono 36 e scendono a 34 per le lavoratrici con due figli. L’indennità erogata dall’Inps per 12 mesi l’anno (non 13 come la pensione) è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla misura. Il sussidio che viene erogato fino all’accesso alla pensione di vecchiaia comunque non può superare i 1.500 euro lordi al mese non rivalutabili.
La misura potrebbe essere alternativa a Opzione donna o essere introdotta in aggiunta a questa. Al momento la platea sarebbe sostanzialmente la stessa (licenziate, care givers ecc) ma nel caso di Ape Donna non si sarebbe costrette ad optare per il metodo di calcolo completamente contributivo. Si andrebbe in pensione dopo (adesso con Opzione donna avendo due figli si può uscire con 58 anni oltre a un anno di finestra mobile se dipendenti) e si avrebbe un’indennità che può raggiungere al massimo i 1.500 euro lordi. Sarebbe richiesto un numero di anni di contributi nettamente inferiore (tra 28 e 30 invece di 35) ma non si andrebbe in pensione, si avrebbe solo una misura di accompagnamento alla pensione
Verso la conferma di Quota 103
E il governo, in manovra, sta lavorando perché ci siano meno tasse sulla previdenza complementare, un nuovo semestre di silenzio assenso e una campagna informativa per una maggiore diffusione della previdenza complementare che non sia affidata solo ad Assoprevidenza. Nella riunione tra Osservatorio sulla spesa previdenziale e le parti sociali Cgil, Cisl e Uil hanno ribadito l’importanza del cosiddetto secondo pilastro chiedendo condizioni di vantaggio per chi aderisce ai fondi che spingano di nuovo in alto le iscrizioni. Con questa riunione si chiudono gli incontri tecnici e la palla dovrebbe passare al Governo che dovrà mettere a punto gli interventi in legge di Bilancio.
«A questo punto – dice la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione – ci domandiamo quale sia l’ostacolo per una convocazione dei sindacati da parte del Governo sulla previdenza. Viene da pensare che non siano in grado di rispettare le promesse elettorali a partire dall’accesso alla pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età».
Al momento, dunque, sembra che il Governo sia intenzionato semplicemente a prorogare le misure esistenti come Quota 103 (pensionamento con almeno 62 anni di età e 41 di contributi)
La Stampa