Meloni e la tassa sugli extraprofitti, il Financial Times: “Dalla guerra ai poveri alla mossa alla Robin Hood contro le banche, nemico dei populisti”

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“Il primo scontro con i mercati di Giorgia Meloni mina la credibilità dell’Italia” è il titolo di un lungo e dettagliato articolo del Financial Times sul cambio di passo della premier italiana e sull’ultima “gaffe“, quella relativa all’intenzione di tassare le banche sugli extraprofitti. Una mossa che “ha danneggiato gravemente lo sforzo di Meloni di presentarsi come amministratrice fiscalmente responsabile” e che ha lasciato di stucco lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che “aveva ripetutamente respinto in passato l’imposizione della tassa”.

“L’idea che il governo stia diventando mainstream, che si stia spostando verso il centro e che stia diventando responsabile dal punto di vista economico è ora in qualche modo compromessa” ha sottolineato Lorenzo Codogno, ex alto funzionario del Tesoro italiano. Eppure, sottolinea il prestigioso giornale americano – la catastrofica e breve premiership della leader conservatrice britannica Liz Truss – poche settimane prima che la Meloni entrasse in carica – è servita da ammonimento che la leader italiana ha preso a cuore con il primo bilancio prudente del suo governo che è stato ampiamente applaudito. Ma il tentativo di imporre la tassa sugli extraprofitti alle banche ha solo sollevato ulteriori dubbi “sulla comprensione da parte della Meloni delle ramificazioni di mercato delle politiche populiste“.

Secondo Lorenzo Pregiasco, socio fondatore di YouTrend, la misura ideata dal duo Meloni-Salvini è nata per colpire un avversario relativamente impopolare come le banche. Ma “non pensavano che avrebbe prodotto il contraccolpo che ha avuto”, ha aggiunto. “È stato un grosso errore di calcolo“. Il Financial Times ricorda anche altri problemi dell’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia: dai ritardi sul Pnrr, con decine di miliardi a rischio alla contrazione inaspettata del prodotto interno lordo dello 0,5% nel secondo trimestre, fino al cospicuo ridimensionamento del reddito di cittadinanza che “dava agli italiani disoccupati un reddito di base, ma che i datori di lavoro lamentavano avesse scoraggiato le persone dall’accettare un lavoro”.

Ed è proprio partendo da quest’ultimo aspetto, quello della “guerra ai poveri” secondo l’opposizione, che Meloni avrebbe optato per una “mossa alla Robin Hood nel tentativo di tornare in auge” secondo Francesco Galietti, cofondatore di Policy Sonar, una società di consulenza sui rischi politici con sede a Roma. “La Meloni si è sentita indebolita dalle accuse di non preoccuparsi delle famiglie più deboli” e così avrebbe provato a rimediare con la tassa contro le banche, provando a far leva – stando a quanto ipotizzato da Pregliasco – sull’elettorato di destra populista e anti-establishment, che fondamentalmente odia le banche”.

Per l’ex funzionario del Tesoro Codogno “probabilmente è un segnale di disperazione” perché “in autunno devono preparare il bilancio e non hanno soldi per finanziare nulla”. Mosse che per il Financial Times sono quelle di un governo “che improvvisa, con poca consapevolezza delle potenziali ripercussioni sulle banche, sull’economia o sul più ampio sentimento internazionale verso l’Italia”.

Mossa presentata da Matteo Salvini, leader della Lega, senza offrire dettagli specifici su come funzionerà. “Salvini ha voluto dimostrare che la Lega non è uno spettatore, ma che può dare forma all’agenda del governo” ha sottolineato Pregliasco. Ventiquattr’ore dopo il ministro Giorgetti (anche lui leghista) ha spiegato che la tassa sarà limitata allo 0,1% degli attivi bancari.

Non a caso la decisione di tassare le banche sugli extraprofitti è stata accolta con soddisfazione dai partiti d’opposizione, a partire dal Movimento 5 Stelle. Una “tassa in stile sovietico” ha aggiunto Codogno che non fa altro che cristallizzare le forti pulsioni populiste all’interno della coalizione di destra.

 

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