Luciano Di Lello, l’abruzzese che inventò il casco

Per la rubrica Abruzzesi nel mondo, Luciano Di Lello, inventore del casco

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Per la rubrica Abruzzesi nel mondo, Luciano Di Lello, inventore del casco.

Il borgo di Villa Santa Maria, nel chietino, è conosciuto a livello internazionale come la patria degli chef, con la sua rinomata scuola alberghiera (fondata nel 1939), ma tanti dei suoi figli hanno lasciato questa terra, per cercare altrove fortuna e fama (il Santo Patrono è San Francesco Caracciolo, nato proprio qui nel 1563, Protettore di tutti i cuochi italiani). Cosi anche Luciano Di Lello, nacque qui il 20 giugno 1876, da giovane spinto ad emigrare in Francia, come tanti suoi compaesani, con in dote la sua maestria nell’arte della calzoleria, che interpretò in maniera originale e creativa, soprattutto dopo la tragedia della perdita del figlio Marcel.

Il bambino avuto con altre due sorelle, dal matrimonio con la moglie Anna Di Cicco, fu investito e perì in un incidente stradale a Parigi, dove la famiglia Di Lello si era insediata. Lì continuando la sua attività d’ artigiano di pregio, confezionò anche le scarpe delle ballerine dell’Opera’ e per la nobiltà della capitale francese. La morte del suo amato figlio Marcel, investito da un tram, spinse Luciano a creare (nel suo laboratorio di Rue des Acacias, n.20) un prototipo del moderno casco, in cuoio, nella quale lavorazione già eccelleva. Il famoso pilota italiano, Alessandro Anzani, ne fu’ il collaudatore per strada, divenendo poi il campione del mondo di motociclismo, nel 1905, nonché l’inventore ed il costruttore del motore a tre cilindri.

In particolare Di Lello intuì il principio cardine dell’interspazio di molle, tra due strati di cuoio, capace di ammortizzare il danno provocato dai traumi delle cadute, sia da moto, automobili e dai primi aerei leggeri. Questo fu’ un vero e proprio successo, riconosciuto e brevettato nel nuovo secolo, ottenendo in premio una medaglia d’oro, per la sua straordinaria scoperta, che in suo onore fu chiamata proprio “Lucien“. Dopo grazie alle informazioni segnalate dal nipote diretto, Luciano Tinto, si è appreso che il famoso nonno, non si limitò ad inventare il casco, ma anche un “giubbotto di cuoio gonfiabile, a protezione dei piloti, del corpo dei motociclisti e dei ciclisti”.

Questa invenzione, per espressa volontà di L. Di Lello, venne portata anche a Firenze, nel 1904, in occasione dell’Esposizione Campionaria Internazionale, dopo Parigi, dove anche qui fu’ premiata con diverse medaglie. Dopo la sua morte, avvenuta nell’anno 1912, le sue due figlie Leontina e Luciene, tornarono a Villa Santa Maria, dove si sposarono, con le famiglie Tinto e Fiore, riportando così gli eredi Di Lello nel paese natio. Come spesso accaduto per altri “emigranti eccellenti”, che si sono distinti all’estero, per decenni sono restati misconosciuti, come “Nemo Propheta in Patria“. Qui fino al 2005, quando la sua amministrazione comunale pro-tempore dedicò alla sua memoria un giardino pubblico, forse troppo poco per il talentuoso inventore del casco, magari da ricordare con un apposito museo.

In verità questa storia, riporta alla memoria altri casi di “invenzioni” celebri, come il telefono di Meucci, attribuito prima a Bell, perché in tanti casi la tempestività e le procedure nella brevettazione, resero alcuni celebri e ricchi, mentre altri morirono in povertà. In questo caso c’è voluto più di un secolo negli Usa, nel 2002, con una sentenza, per stabilire che il primo prototipo di telefono, “Il telettrofono“, va attribuito postumo all’italiano, Antonio Meucci.

Anche la terra d’Abruzzo dovrebbe ricordare con più generosità i suoi talentuosi creatori di vere e propri gioielli, come la vespa Piaggio dell’ingegnere Corradino D’Ascanio, (nato a Popoli), per non citare il suo prototipo del moderno elicottero (sognato da Leonardo Da Vinci), insieme a campionissimi di Formula1, come J.M.Fangio. In realtà si dovrebbero celebrare insieme a questi noti personaggi d’origine abruzzese, specie alle nuove generazioni, anche il nostro Luciano Di Lello, sperando che non si confondano come con il Vate, Gabriele D’Annunzio, definito in un sondaggio un “estetista”, non un cultore dell’estetica.

 

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