Poco prima non udenti con tanto di certificazione regionale alla mano. E poco dopo, eccole parlare al telefonino.
Andrea Colombari
Non si chiama miracolo ma esercizio molesto dell’accattonaggio. In concorso: perché le sedicenti non udenti finite a processo ieri mattina per essere state beccate a caccia di contributi per un altrettanto sedicente centro internazionale, sono due.
Una di appena 18 anni al tempo dei fatti, e l’altra di 26, senza fissa dimora, nate entrambe in Romania e ora finite chissà dove tanto che il giudice Federica Lipovscek ha aggiornato il dibattimento a dicembre per cercare nel frattempo di rintracciarle. Nell’attesa, ci rifacciamo a quella che è un’esperienza comune: imbattersi in persone, perlopiù di origine straniera, che, bigliettini alla mano, sostengono di essere non udenti e che per questo chiedono un obolo.
Si tratta di raggiri particolarmente fastidiosi se si pensa alle difficoltà che devono affrontare le persone realmente non udenti. In questo caso tutto era maturato in pieno centro storico, esattamente tra le vie Argentario e San Vitale.
La segnalazione per quelle due ragazze che chiedevano soldi sostenendo di essere non udenti ma che erano state viste parlare al cellulare, il 30 marzo 2019 era giunta alla polizia locale. Ecco che allora due agenti in borghese verso le 13 si erano fiondati su via Argentario: ed è lì che avevano notato le due indaffarate con i numerosi turisti in visita alla basilica di San Vitale.
Il sistema per agganciarli, prevedeva pure la sagace esibizione di un foglio con il logo dei portatori di handicap, la bandiera italiana e questa scritta testuale, errori compresi: “Certificato regionale per i bambini con handicap non udenti e poveri stiamo aprendo uno centro internazionale grazie per la vostra firma”.
Sotto comparivano quindi, ben distribuite in colonna, le firme di coloro che avevano elargito una donazione con tanto di città di provenienza e codice postale. Anzi: pure i due agenti, forse scambiati per turisti smaniosi di ammirare i mosaici, erano stati spronati a fare un’offerta: alla quale avevano tuttavia risposto sfarfallando il tesserino.
Una delle due a quel punto aveva vuotato il sacco ammettendo che si trattava in effetti di una iniziativa fraudolenta. Erano state subito accompagnate al comando dove erano state identificate e associate a un legale d’ufficio (gli avvocati Anna Maria Spada e Federica Montanari). In totale con il loro raggiro, erano riuscite a raccogliere oltre 100 euro tra monetine e banconote: una delle due aveva invano nascosto i soldi – 51 euro – tra i capelli.
La vicenda, comune a tante altre – basti pensare che la sola polizia locale nello stesso periodo in centro aveva individuato almeno altri cinque casi analoghi –, fa pensare alla possibile esistenza di un racket con un’unica regia (forse all’estero) e con diramazioni in tutta Italia.
A provarlo, potrebbe essere un preciso filo conduttore: quel modulo con le firme dei donatori, sempre lo stesso in tutti i casi denunciati.