Le ispezioni diminuiscono mentre gli enti mandano personale da una regione all’altra perché non ne hanno abbastanza.

Effetto di una riforma nata col Jobs Act che ha invece moltiplicato i passaggi autorizzativi e la probabilità di fughe di notizie. E i funzionari denunciano: “In aumento i controlli che si risolvono in un nulla di fatto. E facciamo ispezioni in base alla redditività per l’istituto, alla facilità di dimostrare le ragioni del lavoratore e quindi di recuperare l’evaso. Il caporalato agricolo, ad esempio, lo si lascia stare”

“Ci stanno lentamente annientando”. È la considerazione finale di una ispettrice Inail che ha deciso di raccontare quanto accade alla vigilanza sul mondo del lavoro. Un servizio che era un fiore all’occhiello dell’amministrazione pubblica, con funzionari che valevano tanto oro quanto pesavano, viste le somme recuperate dall‘evasione contributiva. Un sistema che però non è più lo stesso. Non dopo il Jobs Act del governo Renzi. A distanza di cinque anni ci sono regioni in cui è presente un solo ispettore Inail e province dove non c’è nemmeno un ispettore Inps. “Mentre ispettori e ispezioni continuano a diminuire, ad aumentare è la burocrazia, che ci rende meno tempestivi e meno efficaci”, sintetizza uno di loro. Di fronte a fenomeni come quelli raccontati dall’inchiesta de ilfattoquotidiano.it sul lavoro stagionale – evasione previdenziale, lavoro nero, rischi per la salute – è ovvio interrogarci sullo stato dell’attività ispettiva. Ma la risposta è un grido d’allarme. Perché l’Italia continua ad abbassare il numero di ispettori per lavoratore, e in alcune aree del paese è ormai “impossibile dare seguito a molte, legittime denunce dei lavoratori”. Con tanti saluti anche all’effetto deterrente dell’attività di vigilanza, tanto che gli ispettori confessano il sospetto che si perseveri con una “precisa scelta politica“.

“L’esempio più recente che mi viene in mente è quello della provincia di Rieti, rimasta da poco senza ispettori, tanto che l‘Inps invia quelli di Viterbo per evitare un completo abbandono del territorio”. Quella raccontata da un ispettore Inps che preferisce rimanere anonimo è un’emorragia. E avverte: “L’Istituto calcola che nei prossimi tre anni perderemo altri 300 ispettori, tra pensionamenti e quota 100”. Il processo in atto comincia ad accelerare nel 2015 con la riforma voluta da Matteo Renzi e resa operativa dal decreto legislativo 149 dello stesso anno. Che da un lato istituisce l’agenzia unica, un Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) al quale affidare l’intera funzione ispettiva, e dall’altro blocca ogni assunzione per i corpi ispettivi dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail). Si chiama ruolo ad esaurimento e significa che se un ispettore va in pensione, nessuno lo sostituisce. A giustificarlo, almeno nelle intenzioni, era la scelta di portare tutti gli ispettori nel nuovo Inl, puntando sulla figura dell’ispettore unico che avrebbe padroneggiato ogni materia: lavoristica, previdenziale e assicurativa, fino ad allora divise tra i vari enti. Una scelta in controtendenza anche rispetto agli altri paesi Ocse, come hanno recentemente ricordato gli economisti Tito Boeri e Edoardo Di Porto su lavoce.info.

Il risultato? Una generale diminuzione delle aziende ispezionate. Ma se negli anni e nonostante il ruolo ad esaurimento gli ispettori Inps hanno aumentato l’efficacia della loro attività, quella dei colleghi dell’Inl non è invece migliorata. “Aggregando i dati del rapporto 2020 dello stesso Ispettorato nazionale del lavoro vediamo che la media dei soldi recuperati da un ispettore Inps sulle irregolarità accertate è di 670mila euro, quella di un ispettore del lavoro dell’Inl di soli 60mila”, riferisce il funzionario Inps. Un rapporto di uno a dieci, insomma. “Sì, ma non è solo una questione di numeri”, spiega. “I colleghi dell’Ispettorato sono persone preparate, ma le materie di cui ci occupiamo sono troppo vaste perché uno di noi le padroneggi tutte, e infatti collaboriamo”. E poi: “I risultati dell’Inps sono frutto di un complesso sistema di interazioni tra banche dati che richiede una preparazione specifica”. Un patrimonio di competenze che è costato tempo e investimenti e non sarà semplice trasferire: “Anche perché abbiamo colleghi rimasti soli sul territorio, che andranno in pensione senza aver passato il testimone”. Un problema anche per le recenti promesse del ministro del Lavoro Andrea Orlando, che a maggio ha annunciato 2100 nuovi ispettori Inl da aggiungere agli attuali 1433. Personale che andrà formato, anche da Inail e Inps. Ed è proprio l’Istituto di previdenza ad aver stimato in dieci anni il tempo necessario a formare un suo ispettore.

Quanto ai numeri dell’Inail le cose non vanno meglio. “In Molise abbiamo un solo collega, attualmente in malattia e prossimo alla pensione”, racconta un’ispettrice Inail, anche lei a garanzia dell’anonimato. “Tocca mandarli dall’Abruzzo, che ne ha appena quattro, come per i recenti accertamenti sui casi di Covid, al fine di ricostruire cause e circostanze perché l’erogazione di quanto dovuto alle vittime o ai loro parenti sia tempestiva”. Si dice preoccupata, e continua: “Su questa parte delicata della nostra attività la strada per trasferire le competenze ai colleghi dell’Ispettorato nazionale è accidentata e ancora tutta da percorrere”. E se per l’Inps gli ispettori sono calati dai 1232 del 2016 ai 1004 dell’aprile di quest’anno, all’Inail sono passati dai 350 di cinque anni fa agli attuali 246. “In Calabria ce ne sono quattro, tre in tutta la Sardegna, uno soltanto in Basilicata”. Numeri che ancora una volta si traducono nel crollo dell’attività ispettiva, come ha accertato anche la Corte dei conti per l’anno 2019, certificando che l’Inail stessa imputa il calo “ai processi di riorganizzazione e coordinamento conseguenti alla creazione dell’agenzia unica dell’Ispettorato nazionale del Lavoro”. In parole povere, al garbuglio burocratico concepito nel 2015.

Dopo “ruolo a esaurimento”, burocrazia è infatti l’altro concetto chiave. Perché non solo i controlli sulle aziende e sui lavoratori diminuiscono, ma autorizzarli è sempre più complicato. “Con la riforma e la conseguente perdita di autonomia di Inps e Inail in favore dell’Ispettorato nazionale, un incarico oggi richiede numerosi passaggi”, spiega l’ispettrice Inail. All’agilità e alla snellezza delle procedure di Inps e Inail si è infatti sostituita una catena di comando troppo lunga. “Di fronte a dichiarazioni incongrue raccolte durante un’ispezione potevamo decidere di tornare il giorno dopo per verificare. Bastava una telefonata. A saperlo eravamo in tre e a volte bastava dirlo per ottenere dichiarazioni più veritiere”, spiega l’ispettore Inps. Oggi è tutto cambiato e in peggio. “Una ispezione deve essere prima valutata dalla sede territoriale Inl, poi da quella regionale che decide se portarla in commissione regionale di programmazione, dove una volta al mese si riuniscono i vertici locali di Inps, Inail e Inl per discuterne, ma solo dopo il vaglio di una pre-commissione che vigila sui precedenti e verifica l’opportunità di nuovi controlli su aziende già precedentemente ispezionate”, prova a sintetizzare la funzionaria Inail. E il collega Inps rincara: “Così è praticamente impossibile tornare nella stessa azienda. E quando capita è già passato fin troppo tempo”. Anche per questo gli ispettori parlano di “danno sull’effetto deterrente”, cioè la percezione delle aziende di rischiare di essere “beccate” perché sul territorio gli ispettori ci sono e sono in grado di muoversi tempestivamente. “Aumentano invece i controlli che si risolvono in un nulla di fatto, e con tutti questi passaggi e autorizzazioni le persone a conoscenza delle ispezioni sono passate da due, tre al massimo a una quindicina e oltre: la probabilità statistica di fughe di notizie sale considerevolmente”.

Cosa significa tutto questo per i lavoratori, e in particolare per i più deboli tra loro, lo spiega un altro ispettore dell’Inps. Dopo quasi trent’anni di attività, ammette: “Più burocrazia e meno personale il più delle volte significa non dare seguito alle loro denunce, voltare le spalle a chi non si vede accreditare i contributi”. E con rammarico riconosce che “ha preso piede un certo cinismo, costretti come siamo a selezionare le ispezioni in base alla redditività per l’istituto, alla facilità di dimostrare le ragioni del lavoratore e quindi di recuperare l’evaso”. Insomma, a scegliere chi aiutare e chi abbandonare. “Il caporalato agricolo, ad esempio, con i lavoratori che prendono tre o quattro euro l’ora alle dipendenze di prestanome stranieri che regolarmente spariscono e poi ricompaiono per assumere altrettanti sfruttati, è un fenomeno che non siamo più in grado di perseguire, e così lo si lascia stare”, racconta il funzionario, che a domanda, conferma: “Sì, per lo Stato è un fallimento“.

Sono in molti a sostenere la necessità di ristabilire l’autonomia di Inps e Inail nella loro attività di vigilanza, a partire dalla cancellazione del ruolo a esaurimento e restituendo loro la possibilità di reclutare nuovi ispettori. Due giorni fa l’Unione sindacale di base del pubblico impiego ha dedicato a questi obiettivi il presidio davanti al ministero del Lavoro. Eppure, nonostante le evidenze il tema fatica a imporsi, come la proposta di abrogazione depositata alla Camera dall’ex sottosegretario al Lavoro del primo governo Conte, il cinquestelle Claudio Cominardi. Che concorda con gli ispettori di Inps e Inail quando avanzano il sospetto che si tratti di “una disarticolazione mirata di un servizio che funzionava bene, per ricondurlo a un’unica agenzia sotto il controllo politico del ministero del Lavoro”. E cosa significa tutto questo lo dice l’ispettore dell’Inps: “Negli anni dei governi di Renzi e di Paolo Gentiloni, quando ministro del lavoro era l’ex presidente di LegaCoop, Giuliano Poletti, le cooperative non potevano essere toccate perché il governo aveva deciso di non attenzionarle”.

 

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