Il Canton Ticino (Svizzera) ha proposto un referendum, ed i suoi cittadini hanno votato “sì”: il 58% ha chiesto che vengano messi forti limiti sugli italiani frontalieri che varcano il confine per lavoro
Giulio Pagani
Il Canton Ticino (Svizzera) dice no ai frontalieri italiani, che ogni giorno varcano il confine per recarsi a lavorare in quel Paese “paradisiaco” laddove le condizioni economiche sono nettamente più vantaggiose. Il partito nazionalista UDC e la Lega dei Ticinesi hanno infatti proposto alla popolazione un referendum dal titolo “Prima i nostri“, nel quale veniva richiesto per l’appunto di mettere un freno ai frontalieri italiani.
La risposta dei cittadini elvetici non si è fatta attendere ed è stata affermativa. I risultati ottenuti ieri (domenica 25 settembre, nda) sono chiari: il 58% dei votanti si è infatti schierato dalla parte del “sì“. Non esattamente un plebiscito, ma comunque una maggioranza conclamata (molto più di quanto serva per governare in Italia al giorno d’oggi).
La clamorosa decisione dei ticinesi è stata un assist al bacio per le ambizioni antieuropeiste del presidente del Canton Ticino Piero Marchesi, il quale ha subito colto l’occasione per ribadire che: “Ora è chiaro che gli interessi del Ticino devono prevalere su quelli dell’Unione Europea“. D’altronde carta canta, e gli elettori hanno fatto capire di essere decisamente insofferenti riguardo alla questione degli italiani in Svizzera.
Il risultato del referendum “Prima i nostri” non è tuttavia un fulmine a ciel sereno: già due anni fa infatti la cosiddetta “libera circolazione” di lavoratori stranieri entro i confini svizzeri era stata bocciata dalla popolazione, sebbene Bruxelles rimanga sorda da quell’orecchio, rifiutandosi di ascoltare le recriminazioni elvetiche
La stessa cacciata dei temuti “frontalieri italiani che rubano il lavoro agli svizzeri” non sarà semplice, poiché come ha sottolineato lo stesso esecutivo ticinese c’è una forte “difficoltà di applicazione dell’iniziativa UDC, a causa dell’armonizzazione con le leggi federali“.
I numeri dei frontalieri nostrani d’altra parte non sono leggeri: si parla di almeno 60.000 italiani che ogni giorno varcano il confine con la Svizzera per lavoro, riuscendo a sottrarlo agli autoctoni grazie al temutissimo “dumping salariale” (in altre parole, perché i lavoratori italiani svolgono le stesse mansioni ad un prezzo inferiore).
Se da una parte risulta difficile che il referendum possa tradursi a breve in una normativa dal valore esecutivo, dall’altra è chiaro che la Svizzera ormai veda sempre meno di buon occhio l’attività speculativa dei cittadini della Penisola che vi si recano per vendere i propri servigi ad un prezzo inferiore rispetto a quello richiesto da privati ed aziende locali. Una situazione che ha il forte retrogusto del deja-vù; con la differenza che in questo caso gli immigrati sono gli italiani