Gentile Direttore, Quando si racconta della professione del giornalista ,il ricordo va verso il cronista con taccuino che consuma suole di scarpe per essere presente sul posto dell’evento , raccogliere e verificare ,diciamo alla fonte ,ma romanticismi a parte la mutazione ormai è avvenuta da un pezzo e questa mitologica realtà è sempre meno reale
Non è mia intenzione mettere il dito dentro la piaga ,non è corretto generalizzare ,però la situazione è sconfortante assai , prendiamo il caso della vicenda di Torino del 1 gennaio 2017 ormai conosciuta come : “psicosi al cinema famiglia marocchina scambiata per terroristi”.
Se fissiamo lo sguardo ai primi lanci dei giornali notiamo un particolare che via via è quasi scomparso e nessuno ha ritenuto di scusarsi ,come da prassi , per l’uso che ne è stato fatto della paroletta “Famiglia sordomuta”
Da ogni dove ci viene detto che la parola è importante ,poi magari c’è dissonanza fra titolo strillato e contenuto dell’articolo illudendoci che non ci fa più caso nessuno perché sembra che sia del tutto lecito come una “normale” attività pubblicitaria , ma sappiamo che così non è ,altrimenti il rispetto e la deontologia professionale lasciano il tempo che trovano
Dunque “famiglia sordomuta” a parte l’errore di ritenere che chi è sordo è muto o chi è muto è sordo l’uso della frase fa pensare a genitori e figli tutti sordi , poi c’è il velo che copre gli occhi e insomma la sala diventa scena di una paura collettiva e la rappresentazione del rifiuto della “diversità” ha il sopravvento .
L’arcobaleno dei si dice , è molto vario , si legge di bambini piccoli , di chiacchere in arabo di risate che cambiano a seconda della pagina dove è pubblicato l’articolo con la straniante sensazione di dover leggere cose diverse nel servizio inserito nella sezione estero vicino ai necrologi rispetto a quello della cronaca cittadina .
Tutti a discettare sulla paura , ma c’è anche chi ritiene elemento fondamentale di questa vicenda la maleducazione specificatamente di chi usa il cellulare nella sala ,questione del tutto comprensibile che però non tiene conto di situazioni particolari come quella accaduta la sera del 1 gennaio nella multisale The Espace e che prende il via dal bisogno di esternare il rispetto, la sensibilità e l’affetto che una figlia sorda ha verso i genitori con i quali vuole scusarsi per l’imbarazzo causato da una scena di nudo.
Nell’articolo ,o meglio Colloquio tra la cronista e l’ A.D. Fip Dott. Paolo Tenna (pubblicato a pagina 48 de La Stampa di giovedì 5 gennaio 2017 nella sezione cronaca di Torino ) l’argomento dell’uso del cellulare del tablet , di internet trova spazio considerevole e offre l’occasione al Dott. Tenna di parlare degli strumenti tecnologici dei quali le sale dovrebbero dotarsi .
Essendo il Dott. Tenna AD di Fip presentato come il braccio economico di Film Commission ho subito pensato alla problematica dell’accessibilità delle sale , alla resa accessibile dei film , insomma alla fruibilità dello spettacolo , infatti il “cinema non è il luogo di paura” per riprendere il titolo virgolettato del pezzo ma deve essere per tutte/i comprese le persone con disabilità ,sensoriale , intellettiva ,motoria .
Ahimè proseguendo la lettura ho capito che mi sono sbagliato, le attrezzature a cui fa riferimento il Dott. Tenna sono sistemi diciamo antipirateria che bloccano tutti i segnali compresa internet ,con buona pace di chi vorrebbe leggere i sottotitoli o seguire l’ audiodescrizione di un film per sopperire quando possibile alla mancanza di accessibilità delle sale o della resa accessibile .
Ultimamente si è tanto parlato della nuova legge sul Cinema che prevede incentivi e il rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle Persone con Disabilità ,anche nel recente TFF34 del quale Film Commission è parte in causa il riferimento è stato notevole , ma appunto parole ,parole considerato che neanche da un fatto come quello triste accaduto al The Espace si vuole trarre le giuste considerazione
Oltretutto nell’articolo su citato si offre alla famiglia sospettata di terrorismo di assistere a una anteprima cinematografica che Film Commission organizzerà in citta , al fine di farla uscire dall’imbarazzo della percezione che sia stata la mancanza da parte loro del buon senso nell’uso del cellulare ad aver causato la situazione di paura .
Quel che la signora prova e ha provato per fortuna lo spiega con le parole di assoluta umanità e consapevolezza nelle interviste ( e nei video ) successivamente rilasciate , certo riconosce il disturbo dei messaggini ,ma l’imbarazzo e la rabbia è per altro diciamo per chi ha chiamato l’antiterrorismo per l velo che le copre la testa .
Buon anno ,buon lavoro
Paolo De Luca
Presidente dell’APIC
Associazione Portatore Impianto Cocleare
5 gennaio 2017
Torino, psicosi al cinema: “Guardavo il film, poi sono arrivati i carabinieri…”
E’ sconcertata e arrabbiata Souad Ghennam, 45 anni, la signora marocchina che la sera di Capodanno, in un cinema torinese, è stata indicata dagli altri spettatori come sospetta, assieme alla famiglia, perché scambiava alcuni sms con la figlia sorda. L’episodio ha provocato l’intervento dei carabinieri e l’interruzione della proiezione. “Stavamo guardando il film – racconta la signora – quando in una scena è apparsa una coppia nuda. Mia figlia, che era assieme a noi col suo ragazzo, mi ha scritto un messaggino per manifestare il suo imbarazzo, io le ho risposto”. La scena, però, ha insospettito parte del pubblico che, sotto l’effetto della psicosi degli attentati islamici, ha segnalato la circostanza ai gestori della sala. “A un certo punto – racconta ancora la signora – il film si è fermato e sono arrivati i carabinieri. Una vergogna simile non l’avevo mai provata. Ci guardavano tutti. Io e mio marito viviamo qui da 15 anni”. (Intervista e video di Carlotta Rocci)
Tutto è nato dalla presenza in sala di una famiglia marocchina sordomuta che, durante la proiezione del film “Passengers” di Morten Tyldum, si è scambiata qualche messaggio su whatsapp ridacchiando
Pubblicato il 05/01/2017
Ultima modifica il 06/01/2017 alle ore 12:21
paolo coccorese
Le tremano le mani mentre racconta il senso di vergogna provato al cinema “The Space” quando lunedì sono intervenuti i carabinieri chiamati per scacciare la psicosi terrorismo che all’improvviso ha fatto scattare il fuggi-fuggi nella sala. «Mia figlia ci aveva regalato per le feste alcuni biglietti per un film, ma quando è stata proiettato una scena di sesso, essendo sordomuta e seduta in un’altra fila, si è preoccupata e mi ha scritto un messaggio per spiegarmi che non voleva mancare di rispetto ai suoi genitori» racconta la mamma, Souad Ghennam, 45 anni, da 15 in Italia.
Un episodio che ha scatenato il panico in platea dove all’improvviso in molti hanno preferito abbandonare la proiezione di via Livorno. «Da allora mi vergogno ad uscire di casa, come hanno fatto a pensare che fossi una terrorista? Solo perchè porto il velo?», si chiede la signora che vive da molto tempo in Italia. E che aggiunge: «Questo ormai è il mio paese, uno dei miei figli è anche nato qua. L’Isis non è l’islam, sono dei folli che non c’entrano con la religione. Quella sera volevamo solo divertirci, tutti insieme».